Il Paradosso di Fermi
di Nick Bostrom
Department of Philsophy, Logic and Scientific method. London School of Economics [Oggi Bostrom si trova presso l'Università di Oxford, Facoltà di Filosofia]

La versione originale: The Fermi Paradox
Traduzione a cura di Vincenzo Battista

C'è stata parecchia speculazione attorno alla famosa domanda avanzata da Enrico Fermi: "Dove sono 'Loro'?"  Perché non abbiamo ancora visto alcuna traccia di vita intelligente extraterrestre? Uno dei modi in cui si è provato a rispondere a questa domanda (Brin 1983) è che non ne abbiamo ancora vista traccia perché non esiste alcuna vita extraterrestre, oppure perché la vita extraterrestre intelligente tende ad autodistruggersi quasi immediatamente dopo aver raggiunto lo stadio in cui potrebbe intraprendere la colonizzazione e/o la comunicazione su scala cosmica. Sostanzialmente si tratta della stessa conclusione a cui giungono varie ipotesi catastrofiste sul futuro dell'umanità (i cosiddetti "Doomsday arguments" - ossia le "Tesi da Fine del Mondo" del tipo: è probabile che periremo presto), sebbene queste ultime giungano alla stessa conclusione attraverso un percorso di argomentazioni totalmente differente.

L'intera disciplina di pensiero sul Paradosso di Fermi è stata criticata (vedi per esempio "Mach-1993") perché ritenuta troppo ottimistica riguardo la nostra capacità di produrre dati disponibili atti a supportare inferenze interessanti e scientificamente valide riguardo eventuali civiltà extraterrestri. In tutta sincerità si potrebbe concordare con questa critica se essa intendesse unicamente sottolineare l'inadeguatezza delle prove esistenti a supporto di molte delle affermazioni avanzate nella letteratura specifica del campo, affermazioni che di fatto sono spesso basate sull'applicazione a questo campo d'indagine straordinario di metodi d'analisi statistica tradizionali che, in modo piuttosto ingenuo, vengono opportunamente estesi per poter fornire un falso senso di rigore analitico ai risultati ottenuti. Ma, pur concordando sul fatto che riflessioni così fallaci andrebbero scoraggiate, personalmente ritengo che sarebbe troppo precipitoso concludere che non abbiamo possibilità alcuna di raggiungere la conoscenza di qualcosa di interessante su tale argomento. Inoltre penso anche che qualche progresso verso la risposta ad alcune domande secondarie sollevate dal Paradosso di Fermi, sia già stato compiuto. L'ostacolo vero è quello che la domanda principale posta dal Paradosso di Fermi non diviene meno incerta a mano a mano che si risponde ad una buona parte delle domande secondarie ancora irrisolte; ma appunto per lo stesso motivo, potremmo sperare di ottenere risposte parziali definitive ed interessanti persino lì dove disperiamo di trovare, entro breve tempo, la risposta globale.

Un possibile approccio al paradosso di Fermi è quello di riformularlo in termini di un "Grande Filtro", come suggerito da Robert Hanson nella sua eccellente rassegna delle discussioni sull'argomento (Hanson 1996). L'espressione "Grande Filtro" si riferisce all'ipotetico meccanismo o principio (o agli ipotetici meccanismi o principi) tramite il quale (o i quali) la gran parte dei pianeti che potenzialmente possono supportare la nascita e lo sviluppo della vita, vengono di fatto "filtrati via" prima che abbiano potuto produrre forme di vita intelligente in grado di espandersi nel cosmo. In qualche punto, lungo il percorso che va da "l'esistenza di un pianeta idoneo alla comparsa della vita" fino a "l'apparizione sul pianeta di una specie che intraprende la colonizzazione dello spazio", potrebbe esistere qualche passo fondamentale e improbabile di tale sviluppo che, quasi sempre, è destinato a fallire.

Qualche mese prima della stesura della prima versione di questo articolo, la NASA ha annunciato che tracce di vita sono state ritrovate all'interno di un meteorite d'origine Marziana. E' stato detto che questa scoperta fornisce sostegno considerevole all'ipotesi secondo cui devono essere esistite primitive forme di vita su Marte, le quali sarebbero quindi sia emerse che evolutesi in modo del tutto indipendente dalle forme di vita della biosfera Terrestre. Nuove e più recenti analisi hanno indicato che le formazioni riscontrate nella suddetta meteorite potrebbero essere state prodotte da processi non biologici; allo stato attuale, gli scienziati sono divisi sull'argomento e si dovrà probabilmente attendere nuove missioni su Marte prima di poter dire con qualche grado di fiducia se mai ci sia stata, o meno, vita sul pianeta. Ma supponiamo per un attimo che sia accertata la tesi di una vita sviluppatasi del tutto indipendentemente su Marte. Quale sarebbe la reazione ad un tale evento? Eccitamento e gioia per questa importantissima scoperta scientifica, naturalmente.

Ma, aspettate un momento!!! Se la vita è emersa indipendentemente su due diversi pianeti del nostro sistema solare, dovrebbe sicuramente essere emersa anche su un gran numero di altri pianeti sparsi attraverso il cosmo. E' stato stimato che ci sono circa 10^10 pianeti abitabili nella nostra galassia, e circa 10^20 pianeti analoghi nell'intero universo visibile, sicché - se non è poi così improbabile che la vita evolva su un pianeta abitabile - nella nostra galassia dovrebbe esistere un numero estremamente grande di pianeti su cui la vita si è evoluta, e un numero ancor più grande di siffatti pianeti nell'intero universo visibile. Ora consideriamo le seguenti (problematiche) affermazioni:

(1) Una volta che la vita sia emersa su un pianeta, esiste una significativa probabilità che essa prosegua la sua evoluzione verso forme di vita che potrebbero essere tecnologicamente comparabili con l'attuale civiltà umana.

(2) Se una civiltà, una volta divenuta equipollente alla umanità attuale, continua - almeno per qualche breve tempo - a prosperare (diciamo, qualche centinaio di anni), è probabile che sviluppi la capacità di costruire sonde von Neumann (ad esempio, macchine a scopo generale capaci di autoreplicarsi in un normale ambiente naturale).

(3) Quando una civiltà potrà costruire sonde von Neumann, allora potrà essere in grado di intraprendere (a costi contenuti) un processo di colonizzazione cosmica, ossia una espansione sferica nel cosmo che si spinge in avanti ad una velocità pari ad una qualche frazione significativa della velocità della luce (diciamo il 10% della velocità della luce). Ed esiste inoltre una probabilità significativa che tale civiltà, potendo far tutto ciò, sceglierà effettivamente di farlo.

(4) Se una tale ondata di colonizzazione seguisse un percorso che incrocia la Terra, non potremmo non notare l'esistenza di tale ondata.

Se combiniamo le affermazioni da (1) a (4) con l'assunto che la vita sia emersa indipendentemente sia su Marte che sulla Terra, ne conseguirebbe che avremmo dovuto quasi certamente già notare l'esistenza di una qualche ondata colonizzatrice. Poiché ciò non è accaduto (a dispetto di quello che possono pensarne coloro che credono negli UFO), l'esistenza della vita su Marte implicherebbe (con una probabilità molto alta, diciamo più grande del 99%) che almeno una delle suddette 4 assunzioni debba essere falsa.

Ma quale delle quattro? Cominciamo ad esaminare la prima. Spezziamola in due assunzioni che la compongono, sottolineando che per semplificare l'analisi non prenderemo in considerazione la possibilità di civiltà umano-equivalenti che siano composte da organismi molto dissimili da una sorta di primati-equivalenti (per esempio, non prenderemo in considerazione qualcosa di simile a una comunità di insetti sociali intelligenti):

(1.1) Esiste una probabilità significativa che umanoidi primati-equivalenti debbano prima o poi evolversi su pianeta dove già sono spontaneamente emerse forme di vita primitive.

(1.2) Esiste una probabilità significativa che gli umanoidi primati-equivalenti evolvano prima o poi in umani-equivalenti.

La biologia evolutiva, al suo stato attuale, può dirci qualcosa riguardo la veridicità delle affermazioni (1.1) o (1.2)? Si! Pare che possa farlo, sebbene le implicazioni siano spesso piuttosto problematiche e richiedano una considerevole sofisticazione metodologica.

L'affermazione (1.2) sembra essere veritiera, perché l'evoluzione ha impiegato un tempo piuttosto breve per produrre la civiltà umana a partire da primati umanoidi. Due milioni di anni fa - o giù di lì - sono soltanto un mero lampo sulla scala temporale dell'evoluzione, sicché deve esser stato piuttosto facile compiere un tale passo. In altre parole diciamo che, se un dato pianeta ha evoluto una specie intelligente e civilizzata - il che implica anche che il pianeta deve avere precedentemente evoluto primati umanoidi - e se il passaggio da primati umanoidi a civiltà umana avesse richiesto un tempo molto lungo, ne deriverebbe l'indicazione di una certa difficoltà nel compimento di tale passo, ossia tale passo sarebbe improbabile (a meno che non possa essere frazionato in più piccoli passi elementari, ognuno ancora piuttosto improbabile e con lunghissimi tempi complessivi richiesti per il compimento di tutta la catena di passi). Perciò, poiché il passo da primati ad umani non ha richiesto molto tempo, ma al contrario è stato insolitamente rapido, abbiamo qualche ragione di credere che la transizione non sia affatto improbabile, ossia che non sia affatto improbabile per dei primati umanoidi evolvere infine in umani umanoidi. Un tale argomento, così come è stato esposto, naturalmente non è del tutto inattaccabile, ma appare abbastanza promettente da poter escludere l'intero Eone Fanerozoico [vedi NdT (1)] come probabile contenitore di una gran parte del filtro. Esso potrebbe tuttavia contenere una qualche porzione del filtro, ma è improbabile che tale porzione potrebbe decurtare i dieci e più ordini di grandezza che occorrono per spiegare l'inesistenza di prove della presenza di vita extraterrestre intelligente (quanti siano esattamente gli ordini di grandezza richiesti da una tale spiegazione, dipende molto da alcuni degli assunti dai quali si parte - per esempio la velocità di espansione nello spazio di una civiltà colonizzatrice). Questo argomento solleva complessi problemi di natura metodologica alla cui risposta un filosofo, che sia contemporaneamente dotato anche di una conoscenza specialistica in biologia evolutiva, può dare qualche contributo (vedi anche Hanson (1996), Carter (1983)).

Per quel che riguarda l'affermazione (1.1), la situazione è più incerta. Lo stato dell'arte della biologia evolutiva non può dirci con un significativo grado di certezza se l'affermazione (1.1) sia fondata. Ma ci sono alcune cose che potremmo scoprire e che potrebbero gettare qualche barlume di luce su tale problema. Possiamo esaminare i passi che sono stati percorsi dai vari stadi dell'evoluzione, per cercarne uno in particolare che potrebbe aver richiesto tempi evolutivi eccezionalmente lunghi - forse il passo dai procarioti agli eucarioti, oppure quello che ha condotto alla comparsa dei respiratori di ossigeno, o forse quello che ha determinato la comparsa della sessualità negli eucarioti, o anche quello che ha causato la comparsa dei metazoi; potrebbero anche esistere passi di importanza fondamentale che si collocano esclusivamente nell'ambito dell'evoluzione su scala molecolare - come ad esempio l'invenzione di un particolare metodo di divisione cellulare, ecc… Possiamo anche tentare di cercare ragioni esterne per l'esistenza di altopiani scalati dall'evoluzione con la lentezza di un bradipo [vedi NdT (2)]. Per esempio, per i respiratori di ossigeno sarebbe stato impossibile evolversi prima del momento in cui cominciò ad accumularsi nell'atmosfera ossigeno molecolare "libero" che potessero respirare - cosa che non avvenne prima di 2-1,8 miliardi di anni fa - mentre prima di allora l'atmosfera aveva un livello di ossigeno estremamente esiguo o era addirittura del tutto anaerobica. L'esplosione evolutiva del cambriano sembra essere stata associata con un significativo incremento del livello di ossigeno atmosferico - un incremento che potrebbe esser stato fino a quel momento impossibilitato dalla presenza massiccia di sistemi naturali "collettori" d'ossigeno non ancora "saturi" (microbi per i quali la respirazione aerobica era facoltativa, emissioni gassose vulcaniche con forte tendenza a reagire con l'ossigeno, formazione di bande d'ossido di ferro nelle rocce). Sicché, se l'esplosione del Cambriano ha richiesto un incremento del livello di ossigeno disponibile negli oceani, forse la ragione per cui un tal tipo di esplosione non si è verificata prima d'allora è che ha dovuto attendere che la maggior parte dei sistemi soppressori dell'ossigeno "libero" giungessero a saturarsi, un processo che deve aver richiesto del tempo ma che era comunque - presto o tardi - destinato a verificarsi; ed in tal caso dovremmo cercare altrove, piuttosto che nell'esplosione del Cambriano, per poter trovare qualche passo evolutivo a cui attribuire una parte importante nel ruolo di "Grande Filtro". Un ruolo analogo è stato altresì attribuito al livello protettivo di ozono - e un filosofo che intenda scrivere riguardo al Grande Filtro, dovrebbe di certo imparare parecchio su queste cose prima di potersi costruire una opinione bene informata.

L'assunto (2) è forse persino più interessante di quello (1), poiché riguarda direttamente ciò che potrebbe accadere alla razza umana nell'immediato futuro. Un fattore importante è la realizzabilità  o meno della nanotecnologia "forte".

Se la forma forte della nanotecnologia si rivelasse realizzabile, sarebbe allora possibile quasi ogni cosa - intelligenza artificiale dalle potenzialità sovrumane, uploading (il caricamento di una mente in un computer, ossia la scansione completa dell'intera struttura di connessioni sinaptiche di una mente umana e la conseguente realizzazione di una sua simulazione eseguita da un computer), realtà virtuale, produzione estremamente economica di qualunque prodotto materiale, sonde di von Neumann, nonché probabile resurrezione di persone attualmente mantenute in sospensione crionica. Gli studi preliminari indicano che la nanotecnologia forte è compatibile con tutte le leggi fisiche attualmente conosciute [Nota A]; se questa analisi dovesse rivelarsi corretta, l'unico problema sarebbe quello di "avviare" per la prima volta un tale processo, ossia il problema di come realizzare la prima nanomacchina - visto che è di certo piuttosto arduo costruirne una se non si hanno già a disposizione utensili nanomeccanici. Notevoli sforzi vengono attualmente intrapresi in tale area, specie in Giappone, e sono stati finora conseguiti continui progressi. Molti potrebbero ricordare l'immagine di copertina di qualche hanno fa che mostrava la realizzazione della scrittura del logo IBM su una minuscola superficie utilizzando 35 atomi di Xeno appositamente disposti. Proprio recentemente, pochi mesi fa, c'è stato un altro progresso analogo; un gruppo di fisici del MIT è riuscito a costruire il primo laser atomico del mondo, una tecnologia che ha implicazioni potenziali notevoli per il raggiungimento di capacità di manifattura con precisione estrema finalizzata alla produzione di chip di computer ed altri dispositivi di piccola scala.

C'è stata notevole preoccupazione riguardo i rischi potenziali della nanotecnologia. Se da una parte potrebbe essere usata per produrre in modo automatico tutti i beni che vogliamo, essa potrebbe d'altro canto essere impiegata anche per creare tutte le disgrazie che non vogliamo. Esiste il rischio di incidenti. Alcune nanomacchine autoreplicanti potrebbero agire come virus potenti e capaci di colpire organismi biologici, oppure esse - agendo al pari di enzimi o catalizzatori chimici di superlativa potenza -potrebbero persino cominciare a trasformare l'intera biosfera in una qualche altra sostanza, ossia potrebbero "turbare" le configurazioni energetiche di sostanze che attualmente sono in equilibrio sui loro minimi energetici locali, ed in seguito sfruttare l'energia rilasciata dal raggiungimento di un nuovo equilibrio energetico (un eventuale minimo locale attestato su un livello d'energia più basso del precedente) per replicare se stesse - e così perpetuare e moltiplicare processi analoghi fino all'estrema conseguenza di riuscire a trasformare irriconoscibilmente l'intera Terra nonché portare alla completa estinzione l'intera vita organica. Questo scenario è comunemente noto come "grey goo" (lo scenario della "poltiglia grigia").

Un altro rischio, persino più minaccioso, è l'uso potenzialmente militare della nanotecnologia forte. Probabilmente, nessuna delle principali nazioni annichilerebbe deliberatamente la razza umana, ma esiste sempre il rischio del terrorismo, o quello di consegnare un tale potere nelle mani di individui folli, nonché di situazioni di mutua annichilazione sullo stile di quelle che abbiamo rischiato ai tempi della Guerra fredda.

Sicché giungiamo alla conclusione leggermente paradossale che esistono alcune ragioni per credere che la nanotecnologia forte potrebbe diventare disponibile per noi relativamente presto (forse entro poche decadi) mettendoci così in grado sia di costruire sonde von Neumann, sia - allo stesso tempo - di farci ritrovare in una condizione tale da far decadere l'assunto (2), ossia potrebbe essere che qualsiasi civiltà che riesca ad inventare le sonde von Neumann possa contemporaneamente causare la sua propria distruzione.

La nanotecnologia forte è un caso particolarmente evidente, ma quel che è stato detto può anche estendersi anche ad altre potenti nuove tecnologie potenzialmente in grado di abilitarci alla costruzione di sonde von Neumann.

Eric Drexler (1992) ha discusso a proposito di quella che egli stesso ha denominato "scienza teorica applicata" (a volte anche denominata, da lui stesso,"ingegneria esplorativa"), ossia la disciplina con cui si tenta di abbozzare e stendere i principi di funzionamento di macchine che non abbiamo ancora la capacità tecnica di realizzare concretamente, ma che sono comunque consistenti con le leggi fisiche note ed i vincoli materiali basilari. Drexler pensa che a tali sforzi di "progettazione-anticipata" si debba attribuire un grande valore, poiché essi accrescono le nostre capacità di prevedere gli sviluppi tecnologici futuri e ci permettono di anticiparne i pericoli e quindi ci lasciano il tempo di adottare in utile anticipo appropriate contromisure per questi ultimi. La scienza teorica applicata è interamente esercitata restando all'interno dello schema di conoscenze scientifiche "standard" ossia comunemente accettate e consolidate, sicché richiede capacità ingegneristiche combinate con conoscenze specialistiche delle nozioni fisiche che sono pertinenti e basilari per i meccanismi di funzionamento della macchina ipotizzata. In una tale situazione, il filosofo potrebbe avere un qualche ruolo da giocare, poiché potrebbe suggerire scopi per la quale la macchina dovrebbe essere costruita, nonché per pensare a come macchine differenti potrebbero interagire con altre macchine o mutuamente dipendere da esse. Una ovvia relazione fra macchine, che certo non richiede d'essere un filosofo per poter essere intravista, è che non è implausibile che una intelligenza artificiale dalle potenzialità sovrumane (usiamo il simbolo ">IA" per denominarla sinteticamente) dovrebbe rapidamente condurci alla nanotecnologia forte (ammesso che questa sia realizzabile) e che la nanotecnologia forte dovrebbe rapidamente portare alla ">IA". La prima affermazione è plausibile perché una ">IA" potrebbe dirci come procedere verso la nanotecnologia. La seconda affermazione è plausibile perché la nanotecnologia forte ci consentirebbe di costruire repliche strutturali dei migliori cervelli umani, nelle quali le scale temporali d'elaborazione sarebbero però incrementate di diversi ordini di grandezza rispetto agli originali biologici (nel cervello naturale, i processi della membrana e le velocità dei segnali sinaptici sono molto lenti a confronto con i corrispondenti eventi in un circuito elettronico). Infine, dovrebbe essere relativamente immediato e diretto riuscire ad estendere la rete di capacità di questi artefatti grazie all'aggiunta di ulteriori neuroni nonché di ulteriori connessioni fra neuroni [Nota B].

L'assunto (3) si compone di due parti:

(3.1) Una civiltà dotata di sonde von Neumann può intraprendere una colonizzazione cosmica a costi contenuti.

(3.2) Esiste una probabilità significativa che, data tale possibilità, ciò venga fatto.

Per quel che riguarda l'affermazione (3.1) c'è poco dubbio che essa sia dotata di fondamento. Tutto ciò che una tale civiltà dovrebbe fare è inviare una sonda von Neumann su qualche altro pianeta del sistema solare. Qui, la macchina dovrebbe replicarsi un paio di volte, dopodiché la sua discendenza potrebbe volare via verso altre stelle - replicandosi inarrestabilmente. Si dovrebbe così poter avviare un processo di colonizzazione esponenziale a seguito del lancio di una singola sonda.

(Una colonizzazione spaziale sarebbe possibile anche senza disporre di replicatori von Neuman  - e molti studi di fattibilità sono stati svolti per dimostrare questa possibilità [Nota C] - sebbene, rispetto al caso nanotecnologico, il costo iniziale potrebbe essere molto più alto e la velocità di espansione iniziale estremamente più lenta. Il tempo di consolidamento - cioè il tempo che intercorre fra l'arrivo di una missione colonizzatrice su un nuovo pianeta e il momento in cui la colonia sarebbe in grado di inviare per conto proprio nuove missioni colonizzatrici - è probabilmente breve se la colonia consiste di una macchina di von Neuman, ed è molto breve (una questione di poche ore) se tale macchina è basata su nanotecnologia forte, ma potrebbe essere molto più lungo se la colonia consistesse di una piccola flotta spaziale dotata di equipaggio umano - dato che quest'ultimo avrebbero bisogno di costruire una intera nuova società sul nuovo pianeta prima di poter contribuire ulteriormente al processo di colonizzazione).

Il punto (3.2) è più difficile da valutare. Le ragioni per inviare sonde von Neumann sono forti. Qualsiasi siano le cose a cui una civiltà attribuisce valore, colonizzando lo spazio essa potrebbe ottenerne molte più  rispetto al caso in cui restasse fermamente confinata al suo pianeta natale. Il desiderio di sicurezza sembra anch'esso sorgente di buoni motivi per l'espansione. Ogni civiltà dovrebbe facilmente essere in grado di immaginare che se all'esterno esiste qualche altra civiltà dotata di intenti aggressivi, il proprio pianeta natale dovrebbe prima o poi venir raggiunto dall'aggressore, che tenterebbe di trasformarlo in materiale per le proprie costruzioni. La migliore strategia difensiva sembra essere quella di espandersi al massimo possibile e in tutte le direzioni.

Alcuni hanno discusso il punto (3.2) facendo osservare che qualsiasi sole prima o poi si esaurirà, il che darebbe ad ogni civiltà un forte motivo per intraprendere una colonizzazione spaziale. In realtà questo potrebbe essere un argomento non proprio corretto, perché l'esaurimento del sole fornirebbe unicamente un buon motivo per spostarsi verso un altro sistema solare, e non per avviare un processo esponenziale di espansione - che invece è appunto la conclusione di argomentazioni di questo tipo. E' vero che un evento del genere fornirebbe un buon motivo per sviluppare la tecnologia necessaria (che potrebbe quindi essere facilmente utilizzata anche per altri tipi di progetti); ma la mancanza di domanda per una data tecnologia non è mai una obiezione valida contro una argomentazione come la (3.2), in quanto le tecnologie necessarie (nanotecnologia, sonde von Neumann, ecc…) potrebbero servire altrettanto bene a molti altri scopi, e quindi esisterebbero comunque forti incentivi per tentare di acquisirle.

Esistono anche altri argomenti contro la (3.2). E' stato suggerito che una potenza colonizzatrice potrebbe prendersi cura di non farsi rilevare da civiltà del livello di quella terrestre attuale, sulla basa di qualche principio etico, oppure perchè ritengano di ottenere il massimo vantaggio dall'osservazione condotta in segreto  delle civiltà primitive, senza tentativi di interferire con esse (Sagan & Newman 1982) (personalmente trovo quest'ultima ipotesi piuttosto implausibile). Un altro argomento (Sagan & Newman 1982; De Garis 1996), afferma che potrebbe essere troppo rischioso mandare in giro nello spazio esterno degli autoreplicatori, poiché non ci sarebbe alcun modo di garantire che essi non muterebbero e non si rivolterebbero contro il loro pianeta d'origine, diffondendosi come un cancro cosmico. Per valutare questa obiezione dovremo esaminare la realizzabilità di un controllo assoluto e totale degli errori che possono verificarsi durante il processo di costruzione, durante la migrazione autonoma e durante l'autoriproduzione delle sonde; infatti, almeno in linea di principio, sembra possibile utilizzare la ridondanza per assicurare che il periodo di funzionamento efficiente di una sonda von Neumann sia arbitrariamente grande. Il rischio di sistematici errori di costruzione potrebbe essere minimizzato con la creazione di numerosi sistemi di riserva basati su design diversi ed indipendenti. Esistono anche altre obiezioni a questo suggerimento.

Anche senza considerare la possibilità di trovare della vita su Marte, esistono comunque indicazioni che fanno pensare che la vita extraterrestre potrebbe essere non rara. Molte notevoli scoperte recenti nell'ambito della biologia Terrestre, ottenute grosso modo durante l'ultima decade, hanno mostrato che la vita è molto più resistente di quanto si pensasse un tempo. Sappiamo che i microorganismi estremofili sono in grado di vivere e prosperare in habitat estremamente inospitali, ad esempio a profondità di centinaia di metri entro la crosta Terrestre, in strati salati o nel petrolio, e nelle ribollenti profondità marine in prossimità di emissioni di magma vulcanico fuoriuscenti da aperture idrotermali - ivi nutrendosi di zolfo e rocce. Tutto ciò estende l'insieme dei fantasiosi ambienti in cui sappiamo che la vita riesce a sopravvivere.

Quando cerchiamo di valutare gli assunti (1) e (4), è importante non perdere di vista il fatto che le contro-argomentazioni devono combattere una battaglia estremamente difficile. Forse alcune civiltà potrebbero scegliere di non intraprendere colonizzazioni cosmiche su grande scala. Ma fra diversi miliardi di esse, supporre che neanche una sola civiltà (o anche una sua sola porzione, ad esempio una nazione) non sarebbe - ad un qualche stadio della sua storia - incline a lanciare una sonda von Neumann - è qualcosa di troppo straodinario da concepire! Sembra più plausibile immaginare che un salto evolutivo estremamente improbabile (o, in primo luogo, la stessa comparsa della vita, se le speranze riguardo Marte dovessero confermarsi una chimera) potrebbe accollarsi il carico di dieci o anche venti ordini di grandezza di quella improbabilità che tentiamo di spiegare.

Ma potrebbe anche essere che questa sia una conclusione troppo precipitosa.  E' evidente che, se per tali civiltà i processi di produzione delle decisioni fossero comparabili a quelli delle nazioni Terrestri odierne, dovremmo restare del tutto indifferenti a qualsiasi argomento che presupponga una uniformità così estrema nelle loro attitudini verso la colonizzazione dello spazio. Comunque, quello di cui qui stiamo discutendo sono le società del futuro. E' forse una regola generale che quando diventano disponibili le tecnologie richieste per condurre un efficiente colonizzazione spaziale su larga scala, allora diventano pienamente disponibili anche tecnologie che hanno un impatto profondo sui processi decisionali delle società? Ciò determinerebbe una convergenza delle caratteristiche di tutte le culture sufficientemente avanzate (quel che io ho denominato "Ipotesi della Convergenza Forte"). Quanto è plausibile un tale scenario? Non tanto implausibile come potrebbe sembrare a prima vista, penso. La tecnologia che trasformerebbe in modo cruciale i processi di produzione delle decisioni potrebbe essere la ">IA". E' plausibile assumere che la ">IA" divenga disponibile non molto tempo dopo la realizzazione della nanotecnologia forte. Ora, supponendo che esista qualche motivo sensato per non intraprendere una indiscriminata colonizzazione cosmica, ogni ">IA" riuscirebbe sicuramente a individuare tale motivo. Quindi, supponendo che le ">IA" abbiano sufficiente influenza sui governi di queste civiltà avanzate (sia perchè le ">IA" potrebbero essersi impossessate del potere stesso, sia perché esse sono in grado di spiegare le loro ragioni in modo talmente limpido da poter persuadere ogni governo della loro validità), le attività delle ">IA" sarebbero uniformi per tutte le civiltà esistenti, e tali da dissuadere ogni pianeta da qualsiasi politica di colonizzazione aggressiva.

C'è un certo numero di assunzioni preliminari problematiche alla base di questo argomento, ma penso che esso andrebbe comunque tenuto in mente come una delle possibilità del futuro: non si interpreti troppo rigidamente l'assunto che la ">IA" venga sempre sviluppata non molto tempo dopo la creazione di  macchine per la colonizzazione spaziale. Per soddisfare questa condizione basterebbe che la ">IA" venisse sviluppata in qualche tempo non troppo posteriore (ma potrebbe anche essere molto posteriore) all'inizio del processo di colonizzazione; a quel punto si potrebbe presumibilmente essere in grado di produrre veicoli spaziali più veloci, i quali potrebbero - se lo si desidera -  raggiungere ed oltrepassare i colonizzatori originali oppure dare ai colonizzatori la capacità di agire nella maniera più opportuna per riuscire a rendersi non rilevabili da parte di altre civiltà più primitive.

Esisterebbero anche molte altre forze che spingono in direzione della convergenza fra civiltà avanzate: per citarne una sola, il controllo diretto sui sistemi di generazione delle motivazioni (per esempio per mezzo di droghe o elettrodi cerebrali innestati). L'ipotesi della convergenza forte, e le ipotesi delle sue - più deboli - varianti, sono interessanti anche al di fuori del contesto della discussione sul "Grande Filtro".

Riguardo l'assunto (4) possiamo dire che se il treno della colonizzazione fosse passato in prossimità della Terra mentre non facevamo alcuno sforzo per non essere rilevabili, l'avremmo quasi certamente notato. Se la nanotecnologia forte è realizzabile, l'intero pianeta potrebbe esser trasformato in un gigantesco computer, o in qualcosa di equivalentemente drastico. Qualcosa del genere è proprio ciò che dovrebbe accadere a seguito dello sforzo di divenire non rivelabili. Questo sforzo dovrebbe altresì includere una maniera di ostacolare la percezione che si ha di noi dalle regioni distanti dello spazio, o in alternativa l'intero processo di colonizzazione dovrebbe essere tale da non cambiare l'intero cosmo in modi che - per quel che possiamo capirne in base alla nostra attuale tecnologica e conoscenza teorica - riteniamo rilevabili (la mia opinione è che non è improbabile che questo potrebbe essere il caso, ossia che ci deve essere stato un processo di colonizzazione che si sta proprio ora svolgendo al di la delle nostre possibilità di rilevazione, per quanto non trovo comunque particolarmente probabile una tale ipotesi).

Una valutazione delle prove disponibili, tenuta presente l'interpretazione teorica sintetizzata nel quadro del Grande Filtro, potrebbe avere dirette conseguenze per le nostre prospettive di sopravvivenza nei prossimi cento anni - una argometazione empirica la cui rilevanza è piuttosto discutibile. E' evidente che sarebbe richiesta una considerevole sofisticazione scientifica e filosofica perché si possa produrre una tale valutazione, nonché per poter esplodere in dati disponibili una qualsiasi delle estrapolazioni ingenue- e le relative argomentazioni basate sulla legge dei grandi numeri - del tipo che caratterizza oggi molti dei contributi al dibattito sugli ETI (Mash - 1993) ha svolto del lavoro filosofico orientato appunto in questa direzione).

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[Nota A] Vedi per esempio Drexler (1992). Per una eccellente discussione sulle possibili conseguenze della nanotecnologia forte, vedi Drexler (1988). Per rassegne di aggiornamento continuo e puntuale sullo stato dell'arte nanotecnologico, vedi le pubblicazioni del Foresight Institute.

[Nota B] Questa argomentazione è stata qui presentata in maniera estremamente sovra-semplificata. Per esempio, essa trascura il problema di come realizzare le interazioni di interfacciamento: se i tuoi processi di pensiero diventano milioni di volte più rapidi, ogni processo del mondo esterno apparirebbe milioni di volte più lento, il che creerebbe sia problemi psicologici che problemi di maggiore difficoltà nell'interpretazione degli stimoli sensoriali. Questa idea ingenua che vorrebbe possibile semplicemente "prendere" un cervello umano, "copiarlo" e "accelerare" la copia di un milione di volte mentre la realtà circostante viene lasciata del tutto "non potenziata", non potrebbe mai funzionare concretamente. Ma esistono modi migliori di giungere a risultati desiderati analoghi. Vedi per esempio Drexler (1988, 1992).

[Nota C] Per una panoramica in proposito vedi Crawford (1995b)

Note del Traduttore:

NdT (1): Fanerozoico, ossia l'intervallo temporale della "vita manifesta" - manifestata cioè da indiscutibili testimonianze fossili - e che corrisponde al tempo fino ad oggi trascorso a partire dall'inizio del periodo "Cambrico" (570 milioni di anni fa), in contrasto col precedente periodo "Archeozoico" caratterizzato da forme di vita primitiva che hanno potuto far giungere a noi poche o nulle testimonianze fossili.

NdT (2): Parlando di "altopiani" Bostrom sfrutta una immagine metaforica abbastanza comune nelle discussioni che guardano all'evoluzione, andando anche al di là della suo naturale ambito biologico, come un "processo o metodo automatico di ricerca di soluzioni ottimali o adattative". Metaforicamente, quindi, si può visualizzare l'insieme delle possibilità esprimibile da una soluzione evolutiva come un paesaggio montagnoso di valli (scarsa vantaggiosità della soluzione) e picchi (alta vantaggiosità) e l'evoluzione stessa come il processo che, generazione dopo generazione, fa avanzare la soluzione evolutiva "corrente" da zone di avvallamento verso i picchi ("Hillclimbing" - ossia "scalata"). La stessa immagine è ampiamente sfruttata nel libro (e nel titolo stesso del libro) di Richard Dawkins "Alla Ricerca del Monte Improbabile" - nonché in molte trattazioni accademiche su metodi algoritmici/matematici di ottimizzazione ingegneristica e ricerca operativa esplicitamente inspirati alla biologia evolutiva (ad esempio "Algoritmi Genetici").

References

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