La NASA non serve: Bush la chiuda
di Alberto Mingardi

da LIBERO del 4 febbraio 2003

Nei giorni del silenzio e del dolore per gli astronauti del "Columbia", il dibattito sulle cause, il balletto dei perché, oscilla fra roboanti dichiarazioni di principio e gli stizziti j'accuse dei questuanti dell'aeronautica. George W. Bush, nel dubbio, aumenta gli stanziamenti per la National Aeronautics and Space Administration, non foss'altro per una questione di puntiglio. Eppure, forse sarebbe il caso di mettere sul piatto altri argomenti. Di calibrare costi e benefici di un ente, la Nasa appunto, che sembra più che altro l'Iri dei cieli.

Non nascondiamocelo, la storia del volo spaziale è a un punto fermo da parecchie primavere. La sensazione è che da quel 20 luglio 1969, da quella passeggiata sulla Luna sospesa fra scienza e sogno (a commentarla in tv, guardacaso, assieme a Walter Cronkite c'era lo scrittore di fantascienza Bob Heinlein), di strada ne sia stata fatta pochina. Rimangono nei corridoi della memoria, sul piedistallo delle grandi conquiste, la pionieristica missione di John Glenn nel 1962, gli allunaggi degli Apollo (ma anche lo Sputnik e la cagnetta Laika). Altri episodi sono meno eclatanti: come lo spot che vide protagonista lo stesso Glenn, stavolta alle soglie dei 78 anni, rispedito lassù più per conquistarsi qualche prima pagina, che in nome della ricerca.

Se paragoniamo il percorso dell'esplorazione spaziale con quello del volo "tradizionale": entro i confini dell'atmosfera per intenderci, la Nasa ne esce con le ossa rotte. La macchina volante dei fratelli Wright risale al 1903, e nel '27 Charles Lindbergh già attraversava l'oceano atlantico. Per la fine degli anni trenta, la prima aeromobile commerciale, il DC-3, solcava i cieli. Oggi volare è per tutti. Il costo di un viaggio di linea è diminuito di circa il 40% (al netto dell'inflazione), dai primi anni Ottanta (quando ebbe inizio la deregulation dei cieli). I costi di spedizione dei combustibili, nello stesso periodo, sono crollati di circa l'80%: dai 7 dollari al barile del 1973 all' 1,16 del 1993. Se prendiamo in esame la situazione dell'industria informatica, dobbiamo constatare che l'IBM nel 1981 vendeva 64 kilobytes di memoria per 3000 dollari. Un megabyte ne veniva a costare circa 46000. Un megabyte di memoria costa ora più o meno 3 dollari. Viceversa, i costi delle missioni Nasa sono lievitati. L'analista David Gump stima che la spesa (al netto dell'inflazione) per mettere in orbita del carico utile sia passata dai 3800 dollari per libbra delle prime missioni Apollo ai 6000 per libbra dello shuttle.

Il professor Alex Roland, della Duke University, sostiene addirittura che il costo di un volo dello shuttle arrivi a 2 miliardi di dollari, anziché i "soli" 350 milioni denunciati dalla Nasa (la quale però non conteggia i costi che stanno "a monte" di ogni missione, a cominciare dallo sviluppo dei prototipi). Vorrebbe dire che per mettere in orbita una libbra di carico utile servono 35000 dollari, 70 milioni di vecchie lire. E' difficile raccapezzarsi. Le spese per il volo spaziale sono perenemmente in salita - a fronte di una sostanziale stagnazione tecnologica. Né sembra che la Nasa ci abbia conquistato novità rivoluzionarie per la vita di tutti i giorni, a parte, s'intende, le penne a sfera "degli astronauti" che scrivono anche in verticale (in vendita nelle cartolerie più sfiziose).

Secondo Ed Hudgins, studioso del Cato Institute di Washington, il perché risiede nella totale assenza di concorrenza nel settore. La Nasa ha fatto il possibile per proibire alle aziende private di cimentarsi col business del volo spaziale. A cominciare dal trattato Intelsat del 1973: l'articolo 14D prevede che potenziali competitori delle agenzie aerospaziali pubbliche, nella messa in orbita di satelliti, debbano dimostrare che non causeranno "danni economici sostanziali" alle loro controparti di Stato, per aver accesso ai cieli. La Pan Am Satellite Corporation, per esempio, ha dovuto sudare sette camicie per riuscire a lanciare il suo primo satellite, nel 1988.

La "pianificazione di Stato sta mostrando i suoi limiti anche nel campo della ricerca spaziale", secondo il politologo Guglielmo Piombini [vedi: "I privati alla conquista dello spazio" su Estropico - NdR], che punta il dito contro gli "schemi rigidamente centralizzati" che caratterizzano ogni programma Nasa. Le risorse per lasciare campo ai privati sembrerebbero esserci. La ShareSpace, fondata dalla leggenda Buzz Aldrin, studia la possibilità di promuovere il turismo spaziale. La Applied Space Resources pensa di finanziare un viaggio sulla Luna vendendo ai collezionisti campioni del suolo lunare. La Mars Society ritiene che una compagnia privata potrebbe realizzare lo sbarco umano su Marte spendendo non più di 55 miliardi di dollari, invece dei 400 preventivati dalla Nasa. Tutte imprese allo stadio embrionale, s'intende, ma che manifestano la vivacità di un mercato pure drogato, frenato da un macigno chiamato Nasa. Che da vent'anni consuma miliardi di dollari senza produrre risultati di rilievo. La Nasa è come l'Iri, un retaggio del passato. Sopravvive al suo fallimento.

Privatizzarla non è una provocazione: sarebbe una soluzione.


Estropico