Clonazione: un catalogo di spauracchi
di Giuseppe Regalzi
originariamente pubblicato sul sito di Giuseppe Regalzi

Indice
Premessa
Come funziona la clonazione?
Clonazione riproduttiva
«La clonazione è la creazione di un uomo-fotocopia, la copia esatta di un essere umano già esistente»
«La clonazione è la creazione di un essere umano artificiale in laboratorio»
«La clonazione è un atto di superbia, col quale l'uomo usurpa il ruolo di creatore che appartiene solo a Dio»
«Per mezzo della clonazione un dittatore potrebbe fabbricarsi interi eserciti di sudditi fanatici»
«La clonazione potrebbe far avverare il film I ragazzi venuti dal Brasile»
«Per mezzo della clonazione si potrebbero far rivivere delle persone care prematuramente scomparse»
Clonazione terapeutica
«Con la clonazione terapeutica si sacrifica un essere umano per salvarne un altro»
«Se si permette la clonazione terapeutica si finirà per permettere qualsiasi cosa»
«Dietro i sostenitori della clonazione terapeutica si nascondono forti interessi economici»
«La clonazione terapeutica non serve: l'uso delle cellule staminali adulte porterà agli stessi risultati»
«Non si può fermare la scienza, quindi la clonazione terapeutica deve essere permessa»

Premessa  

Che in un'era di rapido progresso scientifico le nuove tecnologie siano accolte con qualche timore non è un male: rischi e benefici vanno pesati, e all'assenso supino va sempre e comunque preferita la discussione democratica. Ma nella nostra epoca la percezione del rischio sembra essere per qualche motivo profondamente alterata: mentre da un lato si accettano fatalisticamente rischi elevati e ben conosciuti (il fumo, gli incidenti automobilistici, etc.), dall'altro si drammatizzano in modo spesso grottesco rischi estremamente bassi o del tutto immaginari. Campi elettromagnetici, organismi geneticamente modificati e così via generano ondate collettive di panico sostanzialmente ingiustificate.
Ma più ancora del timore di pericoli più o meno identificabili, le nuove tecnologie sembrano destare un senso di orrore di fronte a quella che viene percepita o presentata come una desacralizzazione della natura. Anche qui non mancherebbe qualcosa di positivo: una valutazione grettamente utilitaristica ha certo i suoi limiti, e il senso della misura -- se non proprio della hybris -- è necessario, soprattutto di fronte ad attacchi di delirio commerciale o a tentativi di desertificazione estetica dell'ambiente naturale e umano. Ma di nuovo a prevalere è una visione distorta: qualsiasi tecnologia, per il solo fatto di essere nuova, viene bollata come distruttrice di un ordine naturale sempiterno; e se si chiede un esempio di natura incontaminata ci viene magari additato un campo di grano -- un paesaggio del tutto artificiale, frutto della tecnologia degli ingegneri genetici di 10.000 anni fa che addomesticarono la varietà selvatica della pianta.

Queste reazioni sono solo in piccola parte spontanee: il panico superstizioso è alimentato da volenterosi incendiari. In prima fila troviamo tutti quei politici che hanno scoperto il sistema meno faticoso di raccogliere consensi: convincere gli elettori che solo loro possono difenderli dalla moderna incarnazione della stregoneria. Non sono da meno i preti, anche se si sono specializzati nel contrastare le tecnologie che riguardano la sfera riproduttiva. L'obiettivo della Chiesa, ben mascherato da preoccupazione etica, è naturalmente la conservazione e la restaurazione del ruolo tradizionale della donna: madre di famiglia, cinghia di trasmissione della dottrina cattolica. Per incatenare l'angelo al focolare nulla di meglio che proibire ogni mezzo efficace di controllo della fertilità: non a caso per i preti la proibizione dei contraccettivi è altrettanto importante di quella dell'aborto. Particolarmente zelanti i giornalisti, vuoi per sudditanza al potere degli altri due gruppi, vuoi per la tradizionale ricerca del sensazionalismo a tutti i costi. C'è infine anche chi si oppone all'ampliamento della libertà personale che sarebbe consentito dalle nuove tecnologie per disinteressata furia reazionaria; tra costoro troviamo molti di quelli che una volta venivano definiti «progressisti» (uno dei bioeticisti più rabbiosamente conservatori è stato addirittura candidato qualche tempo fa alla carica di segretario del maggiore partito della sinistra).
Frenesie reazionarie e interessi politici vanno naturalmente mascherati con qualche buon argomento pseudo-logico. A mo' di esempio, in questa pagina elenco e discuto brevemente quelli più comuni avanzati contro una delle nuove tecnologie biomediche, la clonazione. Prendo in considerazione anche qualche argomento a favore, visto che la stupidità non è mai monopolio di una parte sola.
Ma perché parlo proprio della clonazione? Innanzi tutto l'argomento non è tecnicamente complicato, e può dunque essere trattato anche da chi come me non se ne occupa professionalmente: «io non clono!», come precisava Woody Allen nel Dormiglione. Inoltre è difficile trovare come in questo caso tanta distanza fra la realtà effettuale di una tecnologia e l'immagine che ne viene proposta al pubblico: l'esempio ha dunque tutta la chiarezza del caso paradigmatico. La clonazione, in quanto tecnica terapeutica (molto meno in quanto tecnologia riproduttiva), promette grandi benefici -- anche se è impossibile dire se e in che misura saranno raggiunti; penso che dovremmo combattere ogni tentativo di negare a un tempo queste speranze e la libertà dei cittadini di compiere scelte morali autonome.

Come funziona la clonazione?  

Riassumo qui brevemente i meccanismi della tecnica. Nel nucleo di ciascuna cellula del nostro corpo sono contenuti tutti i nostri geni. Si sostituisce il nucleo di una cellula uovo femminile col nucleo di una cellula dell'individuo che vogliamo clonare; se si sottopone quindi l'ovulo ad una adeguata stimolazione, esso può cominciare a dividersi e a svilupparsi nell'embrione di un individuo geneticamente identico all'individuo originale. L'embrione viene infine trasferito nell'utero di una madre ospite. Questa tecnica è stata utilizzata per la prima volta con successo da Ian Wilmut e dai suoi colleghi del Roslin Institute di Edinburgo, che nel 1997 annunciarono di aver fatto nascere il clone di una pecora: Dolly.
Possiamo definire questa come clonazione riproduttiva. Si parla invece di clonazione terapeutica quando lo sviluppo dell'embrione viene arrestato, e le cellule staminali totipotenti (capaci cioè di trasformarsi in qualsiasi tipo di tessuto) che contiene vengono reimpiantate nel corpo dell'individuo originale per sostituire cellule malate o usurate.

Clonazione riproduttiva  

«La clonazione è la creazione di un uomo-fotocopia, la copia esatta di un essere umano già esistente»  

Lo scienziato pazzo dà un'occhiata, ghignando, alla vittima terrorizzata legata a un tavolaccio e circondata da strane apparecchiature; quindi abbassa una leva, e la Macchina per la Clonazione si mette in moto, ronzando sinistramente. Quando tutto è finito, dai recessi dell'apparecchio emerge il Clone. È identico alla vittima -- indossa persino gli stessi vestiti -- ma è decisamente più cattivo. Paragona corrucciato la propria immagine riflessa in uno specchio al poveretto sul tavolaccio, e infine esclama, con voce gutturale: «Sono io l'originale!».

I film e i romanzi di fantascienza di serie B che ospitano scene come questa costituiscono a quanto pare la principale, se non l'unica, fonte di informazione per giornalisti e politici a proposito della clonazione umana. L'idea che un clone riproduca un essere umano adulto non solo nel codice genetico ma anche nei sentimenti e nei ricordi, benché espressa di rado esplicitamente, sembra essere alla base del timore diffuso che la clonazione metta in pericolo l'«unicità» delle persone.

In realtà, la clonazione può essere descritta come un metodo per produrre un gemello quasi identico, ma più giovane, di un essere umano esistente. Un clone condividerebbe con l'originale il patrimonio genetico, come avviene tra gemelli monozigotici (cioè che si sono sviluppati a partire da un unico ovulo fecondato, e che sono quindi geneticamente identici), e nulla di più. Anzi, a differenza di due gemelli monozigotici, il clone non possiederebbe lo stesso DNA mitocondriale. I mitocondri sono degli organelli che si trovano all'interno della cellula, dotati di filamenti di DNA che regolano alcune funzioni dell'organismo umano. Questo DNA, a differenza di quello normale, viene ereditato non da tutti e due i genitori, ma solo dalla madre, attraverso l'ovulo. Poiché nella clonazione si userebbe in genere l'ovulo di una donatrice, privato del nucleo ma dotato dei mitocondri, il DNA mitocondriale del clone non sarebbe identico a quello della persona originale ma bensì a quello dell'anonima donatrice dell'ovulo (un'eccezione potrebbe essere rappresentata da una donna che per clonarsi usasse un proprio ovulo). Il clone inoltre, a differenza di ciò che avviene per due gemelli normali, non condividerebbe durante la gestazione lo stesso ambiente uterino della persona originale: le influenze ormonali materne, a quanto se ne sa, possono determinare caratteristiche importanti di un essere umano. Infine, cosa più importante di tutte, il clone non vivrebbe una volta nato nel medesimo ambiente della persona originale: crescerebbe infatti per forza di cose in una famiglia diversa (a meno di non farlo allevare dai 'nonni'), seguirebbe una dieta diversa, riceverebbe cure mediche diverse e vivrebbe in un tempo diverso; persino due gemelli monozigotici separati alla nascita condividono almeno l'epoca in cui crescono.

Un uomo e il suo clone sarebbero insomma più diversi fra loro di quanto lo siano due gemelli identici; e comunque nessuno sembra pensare che un gemello monozigotico possegga la stessa identità di suo fratello, né che la sua unicità di persona sia in qualche modo sminuita.

«La clonazione è la creazione di un essere umano artificiale in laboratorio»  

L'avversione superstiziosa che certuni provano per tutto ciò che percepiscono come «non naturale», cioè artificiale, non poteva mancare di estendersi ai prodotti di una tecnica raffinata come la clonazione: per politici, preti e giornalisti, i cloni sarebbero dei simulacri di persone, nati nell'ambiente 'disumano' di un laboratorio.

In realtà, i cloni umani non nascerebbero affatto in un laboratorio ma, più banalmente, nel reparto maternità di un ospedale: l'embrione ottenuto verrebbe quasi subito impiantato nell'utero di una madre surrogata. Anche i materiali di base a partire dai quali si effettua la clonazione sarebbero delle normalissime cellule umane. La situazione non è dissimile da quella della fecondazione in vitro: anche se molti hanno da obiettare sulla liceità di questa tecnica, nessuno ha mai sostenuto che i bambini nati per mezzo di essa siano «artificiali». È vero che la clonazione non si verifica naturalmente per gli esseri umani (e gli altri mammiferi): ma nel mondo vegetale e animale esistono sistemi di riproduzione che le somigliano, come ad esempio le varie forme di riproduzione asessuale, oppure la partenogenesi.
Anche qui abbiamo probabilmente a che fare con ricordi di libri di fantascienza scambiati per la realtà: il tema degli esseri umani fatti nascere in una tinozza in laboratorio è comune nella letteratura fantascientifica, ma non è affatto l'obiettivo delle ricerche attuali. Ammettiamo comunque, per amore di discussione, che un giorno si riesca effettivamente a far nascere delle persone (non necessariamente dei cloni) da un utero artificiale: chi prova orrore di fronte a questa eventualità, proverebbe anche orrore di fronte ai bambini così generati? Li considererebbe dei sotto-uomini, meritevoli di discriminazione a causa delle loro origini biologiche? Basta una parola sola per descrivere questo atteggiamento...
  
«La clonazione è un atto di superbia, col quale l'uomo usurpa il ruolo di creatore che appartiene solo a Dio»

Non è facile capire in che modo la clonazione implichi la «creazione» di alcunché: perché non si dice mai lo stesso della fecondazione in vitro? In ogni caso, la questione è irrilevante: gli appelli a convinzioni religiose non possono essere usati in uno stato laico per decidere questioni di interesse comune. I pericoli della teocrazia sono infinitamente più gravi di quelli -- immaginari -- della clonazione.

«Per mezzo della clonazione un dittatore potrebbe fabbricarsi interi eserciti di sudditi fanatici»  

Questo, che viene spesso usato da catastrofisti poco informati come un argomento contro la clonazione, è di fatto un argomento a favore. Procedere alla clonazione di massa impegnerebbe delle risorse umane e finanziarie ingentissime per attrezzare e far funzionare i laboratori necessari; costringerebbe a uno sforzo propagandistico e poliziesco immane, per convincere la popolazione a procreare non dei figli propri ma il clone di qualcun altro (il governo cinese è riuscito solo parzialmente a imporre la politica del figlio unico, impresa che al paragone appare uno scherzo); costringerebbe ad aspettare quasi vent'anni per ottenere i primi risultati; produrrebbe delle masse geneticamente identiche e quindi potenzialmente soggette a rimanere vittime tutte assieme di qualche banale malanno; risulterebbe infine del tutto inutile, visto che il fanatismo non è un tratto geneticamente ereditabile.
Una dittatura non potrebbe mai sopravvivere a un errore tanto monumentale: un esito che gli amici della democrazia dovrebbero augurarsi di tutto cuore.

«La clonazione potrebbe far avverare il film I ragazzi venuti dal Brasile»  

Nel film che turba i sonni dei clonofobi il dottor Mengele (Gregory Peck, clamorosamente fuori ruolo) alleva alcuni cloni di Adolf Hitler allo scopo di far sorgere il IV Reich (niente paura: sarà neutralizzato dal cacciatore di nazisti Laurence Olivier).

Gli sceneggiatori non sono però responsabili delle fantasie elaborate dalla parte più impressionabile del loro pubblico: nel film i bambini clonati non hanno ereditato la malvagità del gemello defunto. In ogni caso, anche se saltassero fuori degli eredi molto somiglianti di Hitler, non per questo il nazismo rinascerebbe; né si potrebbe prolungare la vita di una dittatura facendo ricorso alla clonazione: quando si taglia la testa a un tiranno, non ci si fanno molti scrupoli a disporre in modo adeguato anche del suo eventuale delfino.

«Per mezzo della clonazione si potrebbero far rivivere delle persone care prematuramente scomparse»  

Un clone non è la copia esatta della persona originale, ma solo un suo gemello quasi identico, dotato di ricordi e pensieri del tutto diversi; la clonazione non può far quindi ritornare nessuno dall'aldilà. In compenso, trattare un bambino come se fosse un defunto che rivive potrebbe causargli danni psicologici profondi, e gli impedirebbe sicuramente una crescita libera e spontanea.

Clonazione terapeutica  

«Con la clonazione terapeutica si sacrifica un essere umano per salvarne un altro»  

Nella clonazione terapeutica lo sviluppo del clone viene arrestato allo stadio embrionale, dopo poche divisioni cellulari, per estrarne le cellule staminali totipotenti che dovrebbero servire a riparare i tessuti danneggiati o usurati della persona originale. Per molti, però, questa pratica costituirebbe un omicidio.
L'idea, cara agli anti-abortisti, che l'embrione abbia diritto alla vita si basa su un equivoco non proprio sottile. L'embrione -- si sostiene -- è umano ed è vivo; anche lui quindi, come qualsiasi altro essere umano, è titolare del diritto alla vita. Senonché l'embrione è biologicamente vivo, mentre ciò che ha valore per gli esseri umani non è la vita in quanto attività biologica, ma in quanto insieme di progetti, speranze, desideri, l'interruzione irreversibile dei quali è ciò che ci fa temere la morte; progetti, speranze, desideri che un embrione, ovviamente, non possiede. Nessuno teme l'interruzione delle attività biologiche in sé, ma solo in quanto esse costituiscono la base necessaria dell'esistenza umana intesa in senso ampio. A questo si replica in genere che l'aborto uccide un essere umano potenziale; ma la potenza non è atto: non esistono abitanti del limbo privati crudelmente della possibilità di incarnarsi. Non si può uccidere chi ancora non esiste.

Tentare di convincere un anti-abortista con argomenti di questo genere costituisce ovviamente una netta perdita di tempo: gli interessi mascherati dall'ideologia del «diritto alla vita» sono talmente vitali per i movimenti che la professano da renderne impossibile ogni cambiamento d'opinione. Chi può essere toccato dalla discussione razionale sono piuttosto i cosiddetti «progressisti», che si lasciano incantare dalla logica fasulla dell'ideologia pur senza condividerne le motivazioni nascoste. Da qui nascono certe difese d'ufficio dell'interruzione di gravidanza, «male minore», «rimedio tragico contro l'aborto clandestino», in un profluvio di giustificazioni non richieste che tradisce l'assenso implicito alle tesi degli avversari (e in qualche caso anche la mal sopita pulsione a imporre alle donne il retto sentire...); da qui anche l'opposizione di molti «progressisti» alla clonazione terapeutica.

La negazione impietosa delle speranze di milioni di malati; la svalutazione radicale della vera vita umana, che viene posta sullo stesso piano della vita di un ammasso di poche cellule; l'arroganza con cui i comitati bioetici e i politici usurpano il diritto dei cittadini di compiere in autonomia scelte morali fondamentali: sono questi gli scandali che dovrebbero smuovere la coscienza di chi ha davvero a cuore il progresso umano e civile.

«Se si permette la clonazione terapeutica si finirà per permettere qualsiasi cosa»  

Alcune persone che non avanzano argomenti contro la clonazione terapeutica di per sé, sostengono nondimeno che essa andrebbe bandita, in quanto la sua accettazione porterebbe inevitabilmente a ben altri orrori, come l'estrazione di organi da bambini concepiti appositamente per questo scopo, etc.
Questo argomento è noto come «piano inclinato» (slippery slope in inglese), ed è usato frequentemente da politici, presidenti di comitati bioetici, etc. Tutti costoro sembrano ignorare che questo tipo di ragionamento fa bella mostra di sé nei classici elenchi di fallacie logiche, accanto agli argomenti ad hoc, ad ignorantiam, ad hominem, la petizione di principio, e tanti altri. Quella che infatti manca, qui, è la dimostrazione che accettando la clonazione terapeutica si passi poi necessariamente ai mali paventati. In assenza di questa dimostrazione si può provare tutto, e il contrario di tutto.

«Dietro i sostenitori della clonazione terapeutica si nascondono forti interessi economici»  

Il denaro è lo sterco del diavolo: lo affermano soprattutto i polemisti che ne sono più forniti, e bisogna inchinarsi alla loro esperienza. Anche così, però, non è detto che un prodotto o un servizio siano da rifiutare solo perché procurano a qualcuno dei guadagni: gli antibiotici hanno fatto la fortuna di molte multinazionali del farmaco, ma nessuno pensa per questo di farne a meno. Se poi le tecniche alternative stimolano meno interessi economici della clonazione terapeutica, non è perché -- a differenza di quella -- non sarebbero brevettabili, ma perché sono meno efficaci.

Cosa ancora più importante, chi avanza questo genere di argomenti trascura di menzionare il fatto che spesso gli interessi economici non stanno solo da una parte: è più che probabile che molte case farmaceutiche non vedano precisamente di buon occhio sviluppi tecnologici che rischiano di mettere fuori mercato le loro specialità tradizionali, e che richiedono capitali ingenti per essere emulati. In un paese tecnologicamente arretrato come l'Italia, molte nobili perorazioni bioetiche nascondono malamente banali preoccupazioni protezionistiche.

«La clonazione terapeutica non serve: l'uso delle cellule staminali adulte porterà agli stessi risultati»  

Le cellule staminali si trovano non solo negli embrioni, ma anche nel corpo degli adulti, dove mantengono la capacità potenziale di dare origine a una gamma piuttosto ampia di cellule specializzate. Per questo motivo si ripete sovente che ricorrendo ad esse si otterranno gli stessi risultati della clonazione terapeutica, evitando però i «problemi etici» che questa comporta.

Ovviamente è augurabile che gli studi sulle cellule staminali adulte continuino e che siano coronati da successo, anche se l'impresa non è facilissima: a causa del loro numero estremamente esiguo trovarle e isolarle è difficile, e la loro capacità di moltiplicarsi è ridotta. Sembrerebbe allora perlomeno prudente conservare una linea di ricerca alternativa, che potrebbe riuscire ove la prima fallisse. Puntare tutto su un solo cavallo, in nome di ubbie teologiche travestite da scrupoli etici, sarebbe un azzardo potenzialmente criminale.

Anche ricorrere a cellule staminali prelevate da feti (non clonati) morti per cause naturali non garantirebbe risultati ottimali: tenderebbero infatti a provocare il rigetto nell'organismo estraneo in cui venissero trapiantate.

«Non si può fermare la scienza, quindi la clonazione terapeutica deve essere permessa»  

Infine, un argomento che apparentemente sembrerebbe a favore della clonazione terapeutica, ma che in realtà le rende un pessimo servizio. Chi lo usa vorrebbe mettere a tacere gli oppositori di questa e di altre sperimentazioni d'avanguardia, prospettando l'inutilità di ogni resistenza: «la scienza non si ferma!». L'effetto è potenzialmente catastrofico. L'impresa scientifica viene presentata infatti come un meccanismo automatico, del tutto distaccato dalla volontà umana e sostanzialmente privo di controllo. È da discorsi come questi che nasce la visione di una tecnica che domina il mondo e il cui fine unico è quello di potenziare sé stessa: visione che conta com'è noto adepti illustri anche nel nostro paese, nonostante i suoi scarsissimi rapporti con la realtà fattuale. Non c'è da stupirsi a questo punto se molti rifiutano terrorizzati la scienza. Invocare la libertà degli scienziati ed evocare un nuovo caso Galileo non migliora molto le cose: si lascia passare in questo modo il messaggio che la questione riguarda solo la curiosità degli studiosi.

Queste concezioni profondamente alienanti della scienza ignorano la natura delle vere motivazioni che muovono gran parte del progresso tecnico, e che altro non sono che i sogni e i desideri comuni da sempre a ogni essere umano: il desiderio di sconfiggere le malattie, di vivere più a lungo, il sogno di sorpassare i limiti più angusti della nostra natura. La tecnologia ci offre una speranza: parziale, incerta, onerosa, l'unica che abbiamo.

Copyright © 2002 Giuseppe Regalzi, regalzi@tiscali.it
Ultimo aggiornamento: 7 gennaio 2002

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