Il corpo come paesaggio
di Roberto Marchesini

Il nostro corpo si sta trasformando in un paesaggio, sempre di più proviamo la sensazione ambigua quanto ricca di fascino di diventare esploratori della nostra galassia somatica e, come gli Argonauti, di perderci nelle maglie di un continente ancora tutto da scoprire.

Grazie alle nuove sofisticatissime tecniche di indagine, in grado non solo di rivelarci i recessi più reconditi e microscopici, ma altresì di offrirci immagini tridimensionali delle attività fisiologiche, delle fasi metaboliche, delle distese istologiche, cominciamo ad abituarci a nuovi orizzonti organici da attraversare come navigatori del XVI secolo. Attraverso microtelecamere a fibre ottiche e metodologie di medical imaging, come la tomografia assiale computerizzata (TAC), la tomografia a emissione di positroni (PET), la tomografia a emissione di singolo fotone (SPET), la risonanza magnetica (MR), il paesaggio corporeo diventa accessibile ai nostri occhi come un pianeta vivo che sussulta in vertiginose onde peristaltiche, in violente contrazioni miocloniche, in tempeste di flussi secretori, in una catena di reazioni organiche che ci ricordano i terremoti e gli uragani. Ormai la medicina ci invita a prendere pieno possesso del nostro paesaggio corporeo attraverso pratiche di monitoraggio sempre più minuziose e sempre meno invasive, allo stesso modo i documentari scientifici ci mostrano le diverse parti e funzioni del corpo da prospettive inconsuete: la discesa del bolo lungo il tubo digerente, l'accoppiamento e la fecondazione vista dal recesso vaginale, l'impianto dell'embrione lungo la parete uterina, lo sviluppo embrio-fetale. Il medical imaging, associato a nuovi sistemi informatici di virtualizzazione dell'immagine o la semplice visualizzazione del paesaggio interno ci provocano, come già ai primi anatomisti del Quattrocento, un senso di profanazione, per il fatto stesso che quel corpo è lì palpitante all'interno del proprio involucro epidermico e noi in qualche modo violiamo la sua intimità. Osservare lo sviluppo di un embrione dalle prime fasi della segmentazione, seguire i processi che dalla blastula porteranno poi alla gastrulazione e alla organizzazione del piano somatico significa prima di tutto entrare nel cuore del processo ontogenetico stesso. Allo stesso modo scansionare e serializzare le configurazioni di attivazione encefalica significa entrare veramente nel pensiero del soggetto, al punto tale che, grazie all'analisi della successione di configurazioni di attività delle diverse parti dell'encefalo, ottenuta per mezzo della PET, anche i sogni diventano trasparenti. Il neurologo Matthew Wilson, del Massachusetts Institute of Technology, ha potuto per esempio mettere in evidenza, attraverso alcune ricerche condotte sulle cavie, come sia possibile studiare i contenuti del sogno attraverso l'analisi sequenziale delle configurazioni neurali attivate. Gli animali in pratica venivano sottoposti a particolari esercizi all'interno di un labirinto e contemporaneamente tenuti sotto monitoraggio per quanto concerneva le aree del cervello che via via si attivavano durante il percorso. In tal modo l'équipe ha potuto registrare i mutamenti dell'attività cerebrale corrispondenti a ogni singola area del labirinto. La cosa interessante è che le cavie durante il sonno attivo presentavano le medesime configurazioni mentali di quando svolgevano gli esercizi, tanto da consentire agli scienziati di determinare in quale punto del labirinto l'animale sognava di trovarsi. Anche i processi di estrazione e trasformazione digitalica delle immagini permettono oggi la realizzazione di veri e propri gemelli virtuali che non solo si presentano estremamente fedeli, ma in molti casi manifestano una sorta di isofunzionalismo, dove il modello cioè presenta le stesse o comunque simili qualità funzionali o reattive, in modo tale da permettere una simulazione dinamica. Il paesaggio somatico percorso nella sua visualizzazione o digitalizzato può pertanto diventare un territorio, può cioè essere convertito, attraverso una simulazione virtuale, in un ambiente ed essere abitato.

Questa trasformazione del corpo in paesaggio ha perlomeno tre esiti:

1) l'esperienza virtuale di muoversi all'interno del proprio corpo,
2) la trasformazione del nostro spazio esterno in analogia con lo spazio corporeo,
3) l'idea di realizzare una tecnologia che non solo si apponga (protesi) o s'innesti (impianto), ma letteralmente abiti il nostro somato landscape.

Partiamo dal primo punto. Pensare il corpo come un paesaggio da abitare ha avuto interessanti conseguenze nella ricerca artistica e nella narrativa, famoso resterà il film Viaggio Allucinante di Richard Fleischer, tratto da un romanzo di Isaac Azimov. Abitare il corpo significa in un certo senso trovare una chiave postmoderna all'idea di macrocosmo e microcosmo, ovvero l'idea di una rappresentazione frattalica della realtà, già presente in Hobbes nella proposizione del Leviatano e in Theilard de Chardin nel concetto di "Noosfera". Lo stratagemma utilizzato da Azimov in Viaggio Allucinante è quello della miniaturizzazione dell'equipaggio che deve intraprendere la mirabolante avventura all'interno del corpo per rimuovere un ematoma. Le tecnologie digitaliche promettono invece il viaggio all'interno del corpo utilizzando tutt'altra metodica. Attraverso le tecnologie estrattive delle quattro dimensioni del corpo associate alle tecniche eidomatiche di riproposizione simulata, ovvero di costruzione di un gemello virtuale, è teoricamente possibile creare un ambiente virtuale fedele e isofunzionale al corpo. Una volta predisposta la simulazione, non occorre miniaturizzare se stessi, bensì utilizzare le tecniche di realtà virtuale per costruire un macroambiente interattivo che riproduce esattamente le caratteristiche estratte con le tecniche di medical imaging. Ciascuno pertanto potrà immergersi nel proprio corpo ed esplorarne dettagliatamente il milieu interno. Ma sbaglieremmo a ritenere che la trasformazione del corpo in paesaggio sia semplicemente una rappresentazione del corpo in paesaggio. Il somato-landscape è a tutti gli effetti uno spazio di esperienza, perché la trasformazione in tempo reale del corpo scannerizzato in ambiente virtuale ci consentirà di interagire con le nostre stesse sensazioni e risposte somatiche.

La seconda conseguenza di questa trasformazione è ovviamente un esito della mutata sensibilità e dei diversi codici culturali che si vengono a liberare spostando il proprio asse esperienziale dal mondo al di fuori dell'epidermide a quello al di sotto, ovvero all'interno dell'epidermide. Gran parte delle chiavi di lettura e di interpretazione che utilizziamo nella formulazione di congetture nascono dalla nostra consuetudine, cosicché se fino a oggi i manufatti - strumenti, macchine, edifici - forniscono le metafore e le analogie per descrivere, spiegare formulare teorie sul corpo, allo stesso modo una maggiore consuetudine con il corpo paesaggio potrà rivelarsi un potente motore per invertire questo processo. Il paesaggio in carne ci invita a progettare un ambiente per l'uomo non più caratterizzato dal predominio dell'inorganico, né sottoposto alle limitatezze funzionali che lo caratterizzano. Il corpo habitat può trasformare la nostra dimora in una sorta di utero dove pareti, elettrodomestici, mobili, sono diventati organici - forse addirittura omologhi rispetto al nostro Dna, proprio come una seconda placenta - e possono così interfacciarsi efficacemente ed essere riconosciuti da nostro corpo. Possiamo pensare di plasmare nuove strutture utilizzando la tecnologia organica e la sua complessità morfo-performativa semplicemente controllando l'attivazione di particolari geni, orientando la definizione strutturale e funzionale.

Ma a questo punto diventa conseguente il punto 3) ossia l'idea del nostro corpo come immensa metropoli abitata da realtà tecnologiche o, meglio, nanotecnologiche. È evidente che costruendo nanotecnologie a guisa di avatar possiamo sperimentare il vertiginoso senso di frattalità ontologica. Parallelamente pensare il proprio corpo come paesaggio per la tecnologia, significa renderlo funzionale non solo per quanto concerne l'aspetto dimensionale - attraverso la transibilità - ma altresì per quanto concerne le caratteristiche funzionali. Il corpo paesaggio è un corpo bioma che alimenta e sostiene le nanotecnologie. Per esempio è possibile progettare nanotecnologie provviste di motori che utilizzano come carburante il glucosio rinvenibile nel sangue, capaci perciò di essere del tutto indipendenti nel loro lavoro di ricognizione e nelle attività per cui le avremo programmate - per esempio ripulire le arterie dai depositi ateromatosi, riparare una lesione, rimuovere delle cellule tumorali, ripristinare il flusso sanguigno. Il somato-landscape si trasforma pertanto in un insieme di ecosistemi che permettono la vita e - perché no? - l'evoluzione delle nostre nanotecnologie. Ciò significa non solo modificare il rapporto dimensionale tra corpo e tecnologia, ma altresì adattare le nanotecnologie all'ambiente in cui si troveranno ad operare anche nei termini di rifornimento energetico.

Certo è che la trasformazione del corpo da involucro inviolabile a paesaggio abitabile trasformerà alla radice il nostro modo di vivere il corpo e di dialogare con il corpo, giacché avremo modo di conoscerlo meglio e di comprendere che la nostra ontologia non nasce da una semplice opposizione cartesiana tra mente e corpo, bensì da un frattalico sovrapporsi di dimensioni.


Estropico