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Antonio Caronia - Il Corpo Virtuale |
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Recensione di David Debiasi |
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ABSTRACT: Cosa è che sentiamo di più immediato e naturale del nostro corpo? Lo consideriamo come la nostra più palpabile garanzia di identità e il legame più diretto con la natura, ma nel passaggio dalla società industriale, elettromeccanica a quella postindustriale, elettronico-informatica, la percezione del corpo e dell'io si trasforma, costringendo a una nuova antropologia che vede sullo sfondo il post-umano. Nel libro di Antonio Caronia che abbiamo recensito, Il Corpo Virtuale, si discute proprio di questa metamorfosi spaziando dallimmaginario fantascientifico alla rivoluzione elettronica e digitale, per riflettere sulla nuova epoca che si è aperta con limpatto profondo della tecnologia sul corpo umano, non privo di conseguenze radicali anche per la nostra cultura. |
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Il corpo umano non ha subito che lievi modifiche rimanendo sostanzialmente lo stesso dai tempi dellHomo Sapiens. La sua evoluzione biologica sembra aver raggiunto uno stadio di adattamento soddisfacente in rapporto allambiente naturale. Accadde però che da quando la Natura smise di plasmare il corpo delluomo, questo suo animale speciale dotato di ragione, linguaggio, memoria si sia costruito un altro tipo di ambiente che però stavolta costruisce da sé: quello tecnico e culturale. Arnold Gehlen, filosofo e antropologo, parlò delluomo, nato allinizio nudo e fragile, come essere incompiuto che costruisce con la tecnica e la cultura un mondo virtuale e una seconda natura per colmare le sue inadeguatezze nel mondo naturale in cui gli altri animali con i loro istinti specializzati riescono a batterlo nella sopravvivenza. Creando un suo ambiente artificiale e trascendendo quello naturale per necessità luomo riesce invece non solo a sopravvivere ma anche a potenziare sue determinate facoltà: |
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Luomo è organicamente lessere manchevole; egli sarebbe inadatto alla vita in ogni ambiente naturale e così deve crearsi una seconda natura, un mondo di rimpiazzo, approntato artificialmente e a lui adatto, che possa cooperare con il suo deficiente equipaggiamento organico; e fa questo ovunque possiamo vederlo. Vive, per così dire, in una natura artificialmente disintossicata, resa maneggevole, trasformata in senso utile alla sua vita, ciò che è appunto la sfera della cultura. Si può anche dire che è costretto biologicamente al dominio sulla natura [A. Gehlen, Luomo nelletà della tecnica] |
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Con altre parole possiamo dire che la sua vita dipende dalla costruzione che egli ne fa in quanto costruendo un mondo egli costruisce se stesso. Linsufficienza biologica delluomo viene quindi colmata dal suo sviluppo culturale che si intreccia con quello tecnologico, vivere il mondo per luomo non significa solo adattarsi (come è per lanimale) ma trasformare lambiente naturale in cui vive. Nel corso della storia umana nascono così simboli, miti, religioni, scienze, filosofie, arti e tutto ciò che solitamente comprendiamo nella dimensione culturale, tramite essa luomo si distingue qualitativamente rispetto agli altri animali. Fin qui non ci sorprendiamo più di tanto. Siamo consapevoli, chi più e chi meno, dellimportanza della cultura e della tecnologia nella vita umana. Se la cultura permette agli esseri umani di creare un complesso sistema di simboli, credenze, conoscenze, morali, ecc
da condividere con i propri simili, la tecnologia scaturita da essa gli consente fisicamente di mutare il mondo attorno. Ma la rapidità e la profondità delle modificazioni indotte dalla tecnologia negli ultimi tempi sono senza precedenti: meccanizzazione e automazione hanno esonerato luomo da svariati lavori faticosi e aumentato la produzione di beni, linformatica e la telematica stanno cambiando il mondo nel campo della comunicazione e della vita quotidiana. E questo solo per fare due esempi. Da qualche tempo ormai la tecnologia sta avendo un impatto enorme sullambiente, sulla società e sullindividuo influenzando profondamente anche la cultura stessa. |
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Ritornando a quello che dicevamo allinizio e cioè del corpo umano rimasto più o meno lo stesso da quando sulla terra cammina la specie dellHomo Sapiens, può sembrare che luomo sia ormai unentità biologicamente stabilizzata. Ma è davvero così? Possiamo dirci esseri umani compiuti e definiti una volta per tutte? E non sarà che limmagine del nostro corpo immutabile sia più qualcosa di culturale che di naturale? |
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Il Corpo Virtuale, scritto da Antonio Caronia e pubblicato nel 1996, studioso dellimmaginario tecnologico e delle nuove tecnologie della comunicazione, ci fa scoprire che no, non possiamo dirci così naturalmente dati una volta per tutte. Anche perché il corpo che nellera della scienza il senso comune identifica con unentità biologica è invece soprattutto una costruzione culturale su cui sono stati intessuti segni e simboli (ma aggiungiamo noi anche presunti limiti inoltrepassabili). E mai come nella nostra epoca tecnologica la natura umana è apparsa un progetto e una questione aperta. La tecnologia che era esplosa dalluomo per modificare lambiente esterno ora sta implodendo nelluomo stesso, la tecnologizzazione del corpo sta rimettendo in discussione confini sacri, la nostra stessa identità sembra vacillare e si scopre mutante mentre la credenza in una definitiva forma corporea umana (non importa se disegnata da dio o dallevoluzione naturale) sta tramontando. |
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Le tecnologie insomma mettono in discussione quello che Caronia definisce come lo strumento primario del nostro rapporto col mondo e che sta a fondamento del nostro senso di identità: il nostro corpo. Con lavvento della rivoluzione industriale e poi di quella elettronico-digitale ci confrontiamo con entità artificiali create e animate da noi, con libridazione tra lorganico e il non-organico, e con la disseminazione del nostro corpo nella rete. Rendendo gli scenari della fantascienza molto più reali di quanto si potesse pensare fino a qualche tempo fa. Combinando l'immaginario narrativo alla realtà della tecnologia contemporanea, lautore ci conduce in un viaggio diverso dal solito facendoci scoprire che le fantasie più inquietanti e più audaci delletà moderna sulluomo stanno materializzandosi nel nostro tempo trasformando innanzitutto il modo di vedere il nostro corpo, tanto da chiedersi se la disseminazione dei simulacri corporei (e perciò del corpo stesso) nelle reti telematiche ci autorizza a chiamarci ancora uomini e se non stiamo già davvero entrando nellera del postumano. |
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Quali pratiche nascono allora intorno al corpo, come si modifica nellimmaginario sociale e quali nuovi rapporti si creano intorno allormai sottile confine tra naturale e artificiale? Caronia esplora tali questioni tramite tre linee di tendenza contemporanee: il corpo replicato, il corpo invaso e il corpo disseminato. |
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Il corpo replicato |
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Con la nascita della società industriale ritorna con una diversa valenza una figura che popolava il mito e il folklore da millenni: quella delluomo artificiale, dapprima con lhomunculus alchemico poi con il golem per arrivare al robot, diventa il simbolo della fiducia prometeica nelle possibilità della scienza e dellindustria ma dallaltra parte tale figura viene temuta come lAltro che minaccia e sostituisce luomo fino ad annullarlo, è il terrore che nasce dinanzi allalterità. |
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Luomo artificiale incarnerà la figura che simboleggia lhybris delluomo, come nel Frankenstein di Mary Shelley, e la sua pretesa di strappare i segreti della natura. Ma in quanto figura speculare incarna anche il doppio, ciò che non è completamente familiare ma in qualche modo ci somiglia, linquietante presenza che riproduce e replica il corpo umano seppur in termini artificiali. |
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Le macchine simboleggeranno nei sogni e negli incubi di molti scrittori quel sapere=potere tecnico-scientifico mai sazio di violare i sacri confini stabiliti dalla Natura o da Dio. Lautoma assume su di sé tutto il carico di tragico destino che spetta a un essere ambiguo e ingannatore: un essere che inganna lo sguardo nella più segreta delle dimensioni, perché imita laspetto esteriore della vita e dellintelligenza senza essere né vivo né intelligente. |
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Da qui la fantascienza successivamente si sbizzarrisce nellimmaginare robot, androidi, cyborg, replicanti quasi sempre però visti nella loro tragicità e mezzi per una critica alla società industriale che celebrava allora i suoi fasti tecnologici e una critica alla vita delluomo industriale diventato in tale contesto come appunto un semplice automa. Oppure vedendovi lantico sogno delluomo nellimmortalità che però può realizzarsi solo al prezzo di perdere la sua umanità. |
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I robot, ad esempio nel romanzo R.U.R. dello scrittore boemo K. Capek, a cui si deve la nascita di tale parola, oltre a inquadrarsi nella classica allegoria della creatura che si ribella contro il suo creatore, portano con sé anche lallegoria della massa degli schiavi che si ribella contro il loro padrone, facendo così acquisire al romanzo anche un nuovo significato di critica sociale oltrechè di critica alla civiltà industriale. Ma solo con Asimov la figura del robot non viene più vista come ribelle, pericolosa e priva di umanità, lo scrittore americano di origine russa, nei suoi racconti, a iniziare da I Robot, mette in crisi lidea dellintelligenza come esclusiva facoltà delluomo: anche i robot possono ragionare e pensare ma questa loro capacità è messa al servizio degli uomini per aiutarli, sempre allinterno di quelle famose tre leggi della robotica che luomo ha immesso nei loro cervelli positronici. Asimov immagina quindi più un futuro di integrazione e conciliazione tra umani e robot che non di puro conflitto. Tuttavia landroide rimane una figura inquietante in quanto fa emergere la repulsione per lessere che somiglia alluomo in un modo tale che inganna lo sguardo, allora affiora il sospetto di quanto laltro sia veramente umano o no, a questo punto entriamo in crisi perchè: come faccio a sapere che gli altri uomini sono uomini come me, che pensano e sentono come me, e non invece macchine che simulano un comportamento umano?. |
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Questa stessa domanda la ritroviamo, seppur in diversa forma, sia nellesperimento mentale di Turing sia nei racconti di P.K.Dick. Quando una macchina può dirsi pensante? È questo difficile quesito che sorse nel padre teorico della scienza dei calcolatori Alan Turing. Per stabilire un criterio che indicasse quando una macchina pensa ideò il suo famoso test: dietro un muro divisorio, due entità incognite rispondono a un interrogante, se questultimo non riesce a distinguere le risposte dellessere umano da quelle della macchina allora si potrà ragionevolmente dire che quellentità artificiale pensa. Questo esperimento sollevò molti entusiasmi (da parte innanzitutto dei ricercatori nellambito dellIntelligenza Artificiale o IA) ma anche molte critiche come quella ad es. del filosofo John Searle che criticò il test mentale dello scienziato in quanto prova solo che le macchine sanno manipolare simboli e sanno ricevere istruzioni, ma non prova affatto che posseggano alcuno stato intenzionale (la qualità più profonda di un essere umano). E i continui insuccessi nel campo dellIA sembrano confermare finora le critiche di Searle. |
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Tuttavia, ci dice Caronia, le obiezioni al test di Turing non possono eliminare dallimmaginario la presenza delle menti artificiali, dei corpi artificiali, degli esseri artificiali, e tutti gli interrogativi radicali che essa pone alluomo sulla sua stessa evoluzione e la sua stessa natura. Chi forse ha esplorato meglio tali interrogativi è stato lo scrittore di fantascienza Philip K. Dick che ha avuto nei suoi racconti e romanzi uno sguardo insieme ironico e drammatico sul rapporto tra uomo e macchina. Lartificiale ha tendenzialmente un ruolo negativo in Dick, in quanto rappresenta la manipolazione della realtà ad opera del potere, lo si vede in alcuni suoi personaggi che si scoprono non uomini ma robot senza mai averlo saputo, e iniziano così a lottare per riconquistare la loro libertà perduta attraverso latto più radicale: la loro morte. In uno dei più significativi romanzi di Dick, il celeberrimo Do Androids Dream of Electric Sheep? da cui è stato tratto il famoso film Blade Runner, ritroviamo il discorso sullartificiale: una nuova generazione di androidi che ha superato lintelligenza degli esseri umani, si ribella nella loro colonia spaziale e arriva sulla Terra, il poliziotto Rick Deckart viene incaricato di individuarli e distruggerli. Ma gli androidi sono a prima vista indistinguibili dagli esseri umani, per riconoscerli è necessario il test Voigt-Kampff che misura il grado di empatia degli androidi della quale sono privi, e quindi risultano nella visione dickiana esseri senza umanità, indifferenti alla sofferenza e manipolatori della realtà. Anche se il significato del libro è ambiguo la figura dellandroide rimane sostanzialmente contrapposta a quella umana, ma per Dick è la realtà stessa a sembrare artificiale e contraffatta e senza verità ultima. Come fa notare Caronia la domanda alla base di questo romanzo si può riformulare in questo modo: cosè veramente luomo e cosa lo distingue dagli androidi?. |
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Lartificiale rappresenta quindi quel doppio che ci inquieta perché nasconde una profonda divaricazione tra apparenza ed essenza, riflettendo la nuova condizione del corpo artificiale nellera industriale, meccanizzata e massificante: la replica artificiale del corpo umano incarna infatti, da un lato, laspettativa che le forze produttive crescano in modo talmente smisurato da permettere alluomo di creare il prodotto definitivo, cioè se stesso; ma dallaltro segnalano la paura che il corpo si meccanizzi, che luomo divenga uguale alle proprie creazioni. Ma nellepoca della tecnica si svolge contemporaneamente a questo percorso che vede della vita replicata artificialmente, anche un altro percorso che vede una invasione del corpo umano stesso, nasce così la figura dellibrido, del cyborg. |
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Il corpo invaso |
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Mettendo in crisi quella demarcazione tra naturale e artificiale la tecnica, abbiamo visto, interviene a ristrutturare lindividuo e il suo corpo. Da questa azione metamorfica e simbiotica della tecnologia sul corpo umano che viene così invaso e colonizzato, fuoriesce quellibrido che noi chiamiamo cyborg. |
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Come ci ricorda lautore, il termine cyborg non era nato sulle pagine di un libro di fantascienza, ma negli ambienti della ricerca scientifica che orbitava intorno alla NASA. Negli anni cinquanta lente spaziale americano aveva preso davvero in considerazione lipotesi di modificare chirurgicamente gli esseri umani, sostituendo parti del corpo e inserendo organi artificiali, per renderli adatti allesplorazione di altri pianeti senza far loro indossare ingombranti tute
così, nel 1960, due medici del Rockland State Hospital di New York, Mainfred Clynes e Nathan Kline, avevano parlato di cybernetic organism. Ma se gli esseri viventi vengono modellati da tecnologie sempre più intelligenti e interattive, se le macchine si umanizzano e i corpi si riempiono di protesi e microchips, nasce in noi la sconvolgente domanda se al termine di questa trasformazione potremo ancora chiamarci umani. |
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In questa nuova condizione che vede la nostra carne ospitare o comunque entrare in stretto contatto con manufatti artificiali prendono ispirazione vari scrittori di fantascienza ma è solo negli anni ottanta che un gruppo di scrittori etichettati come cyberpunk scuote il mondo dellimmaginario fantascientifico con le sue originali visioni di uomini ibridati con la tecnologia. Grazie soprattutto a due libri, Neuromante di W. Gibson e lantologia Mirrorshades curata da Bruce Sterling, questo movimento underground si caratterizza da una narrativa che sa esprimere potentemente la nuova fase postindustriale e postmoderna in cui la nuova carne entra progressivamente in scena nellimmaginario tecnologico. La narrativa cyberpunk insiste sul tema della nuova frontiera del cyberspazio e della realtà virtuale ma non trascurato è anche il tema dellinvasione del corpo a opera della tecnologia. Non è raro infatti trovare nei romanzi e racconti di questi scrittori la figura del cyborg che essi rivoluzionano, infatti fino ad allora tale figura era perloppiù evocata a proposito di un rapporto conflittuale tra uomo e tecnologia, divenendo una figura non meno maledetta dei robot. Non più essere mostruoso il cyborg assurge, nella narrativa cyberpunk, a nuovo statuto del corpo nella società dell'informazione. |
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Su questa linea della tecnologizzazione del corpo si muove anche diversi artisti nellambito della body art. Tra questi sicuramente uno dei più originali e dirompenti è lartista-cyborg australiano Stelarc che basa la sua arte proprio sulla modificazione e il potenziamento del corpo: nelle sue incredibili performances si avvale di protesi, estensioni meccaniche, esoscheletri e realtà virtuale per esplorare la dimensione del corpo in tutta la sua globalità. Convinto che il corpo umano così come lo abbiamo ereditato dalla natura è nellera tecnologica ormai obsoleto, e che lera dellinformazione sta introducendo luomo a un processo di evoluzione post-darwiniana in cui non sono più allopera i classici meccanismi biologici della selezione naturale, ma nuove strategie di riprogettazione dellindividuo (redesigning the body), ecco cosa afferma questo singolare artista: Non ha più senso considerare il corpo come un luogo della psiche o del sociale, ma piuttosto una struttura da controllare e da modificare. Il corpo non come soggetto ma come oggetto, e non come oggetto di desiderio ma come oggetto di riprogettazione. Il periodo psico-sociale è stato caratterizzato da un corpo che girava intorno a se stesso, che orbitava intorno a sé illuminando ed esaminandosi attraverso stimoli fisici e contemplazione metafisica. Ma trovandosi di fronte alla sua immagine di obsolescenza il corpo è traumatizzato dallidea di separarsi dal regno della soggettività, e di prendere in considerazione la necessità di riesaminare e possibilmente di ridisegnare la propria struttura. Modificare larchitettura del corpo significa adeguare ed estendere la sua consapevolezza del mondo. Come oggetto, il corpo può essere amplificato e accelerato fino alla velocità di fuga planetaria. Diventa un missile post-evolutivo, abbandonando e diversificando la sua forma e le proprie funzioni. |
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Cade quindi il vecchio dualismo anima-corpo e quel fantasma che era il soggetto, con Stelarc si affronta in pieno la nuova condizione umana nellera dellinformazione: Io non propongo un modello utopico di corpo perfetto, io non voglio che gli individui siano costretti a riprogettare il proprio corpo, dichiarò in unintervista sto solo esplorando delle vie attraverso le quali chi lo vuole può farlo. E potrebbe volerlo fare perché il corpo è diventato sempre più obsoleto nellambiente ad alta intensità di informazione che luomo stesso ha creato. Nessuno può sperare di assorbire e processare in modo creativo tutta questa informazione. La tecnologia, con tutte queste macchine che sono più precise e potenti del corpo, lo ha accelerato: il corpo vive ormai in condizioni di gravità zero, o di velocità di fuga da un pianeta. Per questo ritengo che sia biologicamente inadeguato. Lapproccio ergonomico non ha più senso. Non si può continuare a progettare una tecnologia per il corpo quando la tecnologia usurpa e surclassa il corpo in continuazione. E ora invece di adeguare il corpo alla macchina, di dargli unaccelerata. Nella connessione alle reti cyber, per esempio, siamo ancora limitati dalle tastiere, e altri dispositivi del genere. Il collegamento diretto al cervello non è solo una fantasia fantascientifica, è già unesigenza reale. In queste affermazioni che possono sembrare estreme Stelarc sta cercando intelligentemente di sbarazzarsi dei tabù sulloriginarietà, sullintangibilità e sulla sacralità del corpo naturale, avventurandosi nei territori, ancora poco conosciuti, del postumano. |
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Il corpo disseminato |
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Un inquietante interrogativo però ora ci tormenta: se protesi, innesti, chips, penetrano il corpo naturale dove si collocano i confini del nostro nuovo corpo di carne e silicio? Nella parte che noi chiamiamo naturale o in quella artificiale? Tale domanda è unoccasione forse per prendere coscienza che in realtà i confini del nostro corpo sono solo qualcosa delimitato perloppiù dalla nostra cultura più che essere confini stabiliti dalla natura. Quali sono allora i limiti del nostro corpo? Si potrebbe rispondere la pelle, ma allora la nostra voce? Essa forse non è una nostra estensione? Anche labbigliamento si può dire amplia il nostro io corporeo. E che dire delle simulazioni digitali? Esse sono in fondo dei mondi immersivi e interattivi in cui noi ci muoviamo tramite il nostro nuovo corpo virtuale e disincarnato. Anche qui se vediamo bene è la convenzionalità culturale che stabilisce confini. I nostri limiti sono quelli che noi vogliamo vedere. |
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Le tecnologie digitali in particolare allargano gli spazi di libertà delluomo e permettono di mettere in comunicazione a distanza non solo la voce, ma altre funzioni fisico-comunicative di due o più persone, tutto ciò sembra andare in direzione contraria a quella in cui portava il cyborg. Se il contatto sempre più intimo del corpo con le tecnologie elettromeccaniche intrusive ci fa pensare a un cambiamento della stessa materia prima biologica del corpo, ma non certo a un deperimento della sua dimensione materiale, le tecnologie digitali sembrano andare invece verso unevanescenza del corpo, verso una tendenziale scomparsa nella nuova immaterialità delle interazioni elettroniche. Ai processi di replica del corpo e di invasione del corpo si affianca così anche quello di disseminazione del corpo che in questa ultima forma minaccia e stravolge un rapporto fondamentale, quello tra corpo e identità. |
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Lesperienza del corpo disseminato nasce con le tecnologie telematiche e virtuali: la telefonia è la prima forma del ciberspazio in quanto noi sperimentiamo uno spazio virtuale in cui possiamo interagire seppure solo tramite la voce. Nelle realtà virtuali (RV) invece lesperienza del nostro corpo de-materializzato, dis-locato e "frammentato" diventa evidente: il corpo abbandona la sua dimensione organica e permanente, presentandosi piuttosto come qualcosa di transitorio, diventando quindi un simulacro virtuale di cui ci avvaliamo per interagire nellambiente digitale. Ma la realtà virtuale non è da intendere come spazio neutro bensì come spazio partecipativo in cui ognuno di noi diventa un demiurgo, in questi mondi paralleli si riduce drasticamente quello iato tra le cose e noi, in quanto non si può separare losservatore, il soggetto, dallosservato, loggetto, la RV infatti rompe lo schermo e nel suo ambiente immersivo ci incoraggia a una fruizione attiva. Sembra che le tecnologie digitali dissolvano la tradizionale dicotomia tra realtà e rappresentazione, o nietzschianamente tra "mondo vero" e "mondo apparente": la scoperta novecentesca della precarietà del reale, del carattere sfuggente della realtà, della sua ingovernabilità da parte dello sguardo razionale delluomo, non poteva sfociare nella presenza di unaltra dimensione, quella appunto della disponibilità, che si realizza dapprima nelle costruzioni dellimmaginario, dalla letteratura al cinema
poi, in tempi più vicini a noi, in questa nuova dimensione intermedia, resa possibile dalle tecnologie elettroniche, che dissolve ogni opposizione tra naturale e artificiale, fra realtà e rappresentazione. Questa dimensione inizia con la televisione ma comincia a realizzarsi più compiutamente con le tecnologie digitali. In tale contesto il corpo disseminato è un corpo fluttuante che perde la sua sacralità, la sua origine immutabile e fondativa e che non è più adatto a sostenere unidentità forte e stabile. |
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Paradossalmente dice lautore solo la fine della credenza in unorigine di unità e armonia con la natura rende possibile che il nuovo corpo artificiale e disseminato funzioni come strumento di contatto e di inserimento nel nuovo paesaggio tecnologico, nella nuova dimensione del mondo, in cui naturale e artificiale si confondono. A questo processo e a questo nuovo livello di realtà che chiamiamo ciberspazio sarà inutile contrapporre una resistenza basata su identità rigide e su radici da riscoprire, tali nostalgie non sono nientaltro che il riflesso impotente e sanguinoso della globalizzazione in atto. Allora lautore si chiede se con questo processo di trasformazione del corpo non stiamo tornando al paradigma delle primitive società paleolitiche in cui il corpo ha un posto centrale e permaneva indiviso tra cultura e natura permettendo uno scambio simbolico. Nella società neolitica (di cui quella industriale è un ulteriore sviluppo) invece il corpo viene valorizzato solo in quanto sede dellIo, e vittima di un rigido assolutismo spiritualistico non è più capace di questo scambio simbolico e dellunione tra io e comunità. Forse il nostro futuro è riprendere il modello tribale e nomade del paleolitico in modo da utilizzare pienamente e integralmente le tecnologie di comunicazione attuali: Per avviare un nuovo scambio simbolico, un nuovo general intellect, una mente davvero collettiva, che non prescinda più, questa volta, dal corpo, perché il nostro corpo digitale è ormai ovunque. |
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Antonio Caronia
Il corpo virtuale: dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti
Muzzio Editore
Pagg.: 204 |
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