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Verso l'ecologia dell'artificiale |
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La seconda ecologia è morta, ma gestire la prima sarà più impegnativo |
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Di Carlo Pelanda |
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Gli ecosummit sono in stallo per motivi più profondi del rifiuto americano di aderire al protocollo di Kyoto. Si è esaurito l'ambientalismo inteso come limitazione dello sviluppo, la "seconda ecologia". Questa, emersa in Occidente nei primi anni '70, si basava su tre paradigmi diversi, ma tutti anticapitalistici. |
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Primo, pessimismo aristocratico: il futuro non potrà essere migliore del presente, quindi bisogna fermare il primo e restare fermi al secondo. Tale concetto fu elaborato da èlite antimoderniste e si combinò con la reazione di una minoranza del mondo scientifico all'eccesso di fiducia nei confronti della tecnologia che la maggioranza dimostrava. |
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Secondo, il "rossoverdismo". In America ed Europa le sinistre classiche sono state sconfitte dal tecnocapitalismo. Gran parte della sinistra si è arresa ed adeguata (svolta centrista). La componente irriducibile ha cercato un nuovo mezzo per continuare la lotta e lo ha trovato nell'ambientalismo limitativo, impadronendosene. |
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Terzo, "post-umanesimo" [da non confondersi con il postumanesimo trattato su Estropico - ndr]: essere nella grande corrente della dea natura invece di dominarla. |
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La fusione tra paradigmi avvenne a livello di "truppe": chi si sentiva escluso dal capitalismo trovò in questo calderone un'identità che travestiva di missione ideale l'insuccesso personale in un mondo competitivo. Il movimento si allargò e condizionò la politica. Ma proprio l'eccesso di antagonismo dei militanti ne erose la credibilità. L'ecocatastrofismo non è provato dai fatti. Soprattutto, i tentativi di mettere in pratica un ambientalismo contrario ai requisiti dello sviluppo si sono rivelati, negli ultimi anni, inapplicabili. In sintesi, la "seconda ecologia" non riuscirà più a trasformarsi in consenso di massa. Quindi resta portante e direzionale la prima: adattare il mondo alle esigenze dei sistemi umani e non viceversa. Così è sempre stato, ma finora "implicitamente" data l'ovvietà per necessità del primato antropico. Se lo proiettiamo in base ai trend correnti, entro un secolo il pianeta comincerà a configurarsi come un'unica grande città. A quel punto sarà giocoforza iniziare a prendere il controllo diretto dell'ecosfera (clima, acque, ecc.) per adattare il sistema fisico limitato a quello umano illimitabile. La tecnologia (terraformazione) potrà farlo. Ma per produrne una adeguata, nei decenni futuri, ci vorrà il consenso. Quale il modo migliore: aspettare che la cultura generale si abitui pian piano, via cambio generazionale, a questo scenario o esplicitarne già ora i termini quando le popolazioni potrebbero spaventarsi perché non educate all'ecodiscontinuità? Bel dilemma, era meno impegnativo confrontarsi con l'oscurantismo della seconda ecologia. |
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