Nostra Signora del Cosmo

Di Giuseppe Vatinno. Originariamente pubblicato sul sito dell'autore: Futurizzanti

Voglio iniziare questo articolo con una domanda di filosofia  sistemica e che ha per oggetto il ruolo del “metodo”  come definito da René Descartes e Cartesio e da Francesco Bacone. La scienza ha bisogno assoluto di un metodo scientifico che le permetta di scoprire il funzionamento della natura.

La domanda allora è: si può innalzare il metodo a supremo strumento conoscitivo che dia informazioni addirittura sulla realtà stessa?

O più esplicitamente: il metodo in sé può costituire conoscenza pura?

La domanda è complessa anche perché la stessa scienza moderna, diciamo da Galileo in avanti, ha posto come obiettivo del conoscere il “come” a discapito del filosofico “perché?”. In pratica Galileo, in piena umiltà intellettuale, comincia semplicemente a studiare “come” avvengono i fenomeni, ad esempio oscillatori, disinteressandosi completamente della “cause finali” che riguarderebbero il campo della conoscenza dei “perché” (in questo caso, almeno ad un certo livello di approssimazione la causa agente del moto del pendolo è la gravità universale). Quello che voglio dire è che Galileo cercando solo il “come” scopre anche un “perché di primo livello”. E’ interessante notare come, in questo esempio, un “perché di secondo livello” è costituito poi dalla relatività generale che avrebbe formulato secoli a venire Albert Einstein. A questo punto poi, non possiamo fare a meno di chiederci se esistano “perché di terzo livello” e così via. Ebbene, già un terzo livello è plausibile: si tratta della cosiddetta gravità quantistica.

Allora vi sono due ordini di problemi. Il primo è: quanti livelli di “perché” progressivi esistono? Ha senso logicamente ricercare un “perché” ultimo (o causa efficiente o causa prima?). E poi: uno studio molto sofisticato ed approfondito del “come” può portare ad una buona conoscenza dei “perché”?

La prima domanda è molto complessa: infatti, occorre definire una sorta di gerarchia funzionale dei “perché” ma si potrebbe forse immaginare un’esistenza di un “perché ultimo” definito come il “perché” che non ha bisogno di altre spiegazioni aggiuntive.

La seconda domanda è più affrontabile sul piano della realtà effettuale e la risposta è positiva: la conoscenza di un processo ci dà sempre informazioni sulla sua “essenza”, cioè sulla sua “natura”.

Ecco dunque che uno studio approfondito dei processi potrebbe fornirci grandi informazioni sulla “natura” di un fenomeno complesso come il cosmo nella sua interezza o il fenomeno evolutivo. Insomma, la domanda a cui si cerca una risposta è la seguente: esiste un “fine” in quello che vediamo avvicendarsi intorno a noi? Come si vede la domanda è la più impegnativa che un uomo si possa porre ed investe campi che sono (stati) appannaggio della religione ma che ora potrebbero avere una soluzione scientifica.

In effetti, nell’universo, parrebbe combattersi una titanica battaglia tra due tendenze: l’ordine ed il disordine intendendo con il primo la tendenza alla  “estropia” e con il secondo la tendenza all’ “entropia”. Ad esempio, il ” fenomeno vita” è un chiaro esempio della nascita di ordine locale a scapito di un disordine globale.

La biosfera è piena di vita: forme che nascono, si evolvono, muoiono; le più adatte sopravvivono dell’eterna danza cosmica.

E’ dunque  lecito chiedersi: tutta l’incredibile ricchezza di vita e, nel caso umano, di esperienza coscienziale che fine farà?

La domanda solo ad una prima analisi può sembrare puramente teoretica; in realtà si tratta di una domanda di “fisiologia cosmica” che riveste molto interesse per la nostra specie e per specie che potranno sopravvivere in un futuro remoto, un futuro dell’ordine di 10^10^76 anni, cioè 10 elevato alla dieci elevato a 76!

Cosa succederà, plausibilmente, al nostro universo?

La domanda, è bene dirlo subito, potrà avere solo una risposta di tipo prettamente probabilistico in quanto non conosciamo con certezza il futuro del cosmo. Esso, infatti, potrebbe continuare ad espandersi per sempre andando verso ad un destino di morte termica, come si usa dire oppure, viceversa, potrebbe collassare su se stesso in un enorme ”big crunch” finale che sarebbe il fenomeno speculare del big bang iniziale, con tutta la materia concentrata in un punto di temperatura e densità infinita, oppure, ancora, potrebbe letteralmente rimbalzare indietro verso una nuova espansione.

In tutti questi casi potremmo chiederci, da futurologi impegnati, cosa ne sarà della nostra specie ammesso che nel frattempo non si sia autodistrutta grazie ad un conflitto  nucleare o ad un attacco di virus ingegnerizzati.

Partiamo dallo scenario che, lal momento, sembra essere più plausibile.

E cioè quello di una espansione progressiva del cosmo fino a raggiungere la morte termica e cioè fino a raggiungere gli zero gradi assoluti in cui si annullano tutti i movimenti atomici.

Il primo a parlarne fu uno dei padri della termodinamica e cioè Rudolf Julius Emanuel Clausius (1822 – 1888) che applicò il secondo principio della termodinamica ad un sistema chiuso molto particolare, cioè all’universo stesso. Di questo argomento se ne occuparono molto anche altri cosmologi come, ad esempio, Artur Eddington (1882 – 1944)e James Jeans (1877 – 1946).

In effetti, applicando pedissequamente i fondamenti della termodinamica possiamo solo dire che l’universo evolverà inesorabilmente verso quello che è considerato lo stato più probabile e cioè quello a massimo contenuto entropico e cioè quello più disordinato in cui tutto è congelato nell’assenza di movimento atomico. Infatti, dopo che tutta la materia sarà stata ingoiata da miliardi di buchi neri e riemessa sotto forma di un gas di fotoni , leptoni  e protoni (se non decadono) nulla più resterà. Il cosmo avrà raggiunto il suo equilibrio nell’immobilità eterna.

Si noti, a questo punto, che per l’universo l’idea intuitiva di una entropia proporzionale alla temperatura (secondo i principi della termodinamica statistica) non vale.

Infatti, se valesse, lo stato iniziale del Big Bang a temperatura infinita (insieme alla densità) dovrebbe avere una entropia infinita e quindi essere in equilibrio e non evolvere. In realtà il Big Bang è proprio l’istante iniziale (tralascio, per semplicità, la teoria delle membrane).

In effetti, per il cosmo, occorre calcolare l’entropia totale in modo diverso da quello a cui siamo abituati. In questo caso infatti occorre tenere presente la gravità ed il suo “contenuto d’ordine” che fanno sì che il Big Bang, in realtà, sia uno stato a bassa entropia e che quindi permetta al secondo principio della termodinamica di agire in senso evolutivo.

Ma torniamo alla morte termica.

Una prospettiva desolante vero?

Tuttavia, ultimamente, i progressi della cosmologia quantistica ci aiutano a concepire uno scenario meno desolante. In effetti, considerando che l’universo ha una grande preponderanza di energia oscura (e di materia oscura) che sfugge all’osservazione diretta dei nostri strumenti possiamo immaginare che tale energia in qualche modo salvi il cosmo dalla morte futura.

Inoltre, dal punto di vista di una filosofia che si fa fisica, l’universo non può che avere un tempo infinito cioè deve essere eterno perché altrimenti sarebbe in uno stato di contraddizione logica. Ma se il tempo è infinito allora anche l’energia è infinita o meglio il continuum spazio – tempo è infinito. Ed allora se tutto è infinito anche il secondo principio della termodinamica potrebbe essere superato perché una infinita energia darebbe il combustibile per un infinito ordine.

Infatti, secondo alcuni studi, principalmente dovuti a John D. Barrow, la massima entropia possibile  del cosmo potrebbe essere nel tempo sempre maggiore della massima entropia. Insomma, questa fonte aggiuntiva di energia darebbe la possibilità al cosmo di continuare a vivere.

Ma ammesso che la morte termica sia evitabile che forme di vita potrebbero abitare questo cosmo sempre più immenso ed espanso, in cui la stessa velocità della luce non sarebbe che una bava di lumaca in confronto alle incredibili distanza da percorrere?

A questa domanda ha risposto il fisico Freeman Dyson che ha immaginato per l’universo finale delle forme di vita spalmate sulle nubi di gas interstellare e con consumi energetici ridotti ai minimi e che vivrebbero una sorta di lunghissimo letargo per la maggior parte del tempo.

Dunque, la prospettiva transumana ed estropica di una vita cosciente diffusa in tutto il cosmo potrebbe ancora sopravvivere.

Ma se l’universo invece si contraesse?

A parte che ciò sembra meno probabile dell’ipotesi espansiva, il fisico americano Franck J. Tipler ha una soluzione anche in questa ipotesi: la meta infatti sarebbe il punto omega finale riprendendo le teorie del gesuita francese Theilhard de Chardin. Ma tale teoria è poco convincente ed il finale misticheggiante.

Tuttavia, i progressi delle scienze e delle tecnologie ci dicono che la trasformazione finale, la coscientizzazione dell’intero cosmico è, almeno in linea di principio, possibile.

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Bibliografia

D. Barrow John “Le origini dell’universo”, biblioteca scientifica sansoni 1995

F. Dyson , “Infinito in ogni direzione”, Rizzoli 1989



Estropico