Il punto di vista conservatore sull'immortalità

di Charles N.W. Keckler

"Immortalità" è una parola grossa. Eppure, le aspettative di vita nei paesi sviluppati, ma non solo, continuano ad allungarsi e il continuo progresso biomedico ha spinto molti intellettuali a confrontarsi con le questioni bioetiche aperte dalla possibilità di un'immortalità fisica biotecnologica, o quantomeno di prospettive di vita radicalmente più lunghe. Fra questi si sono distinti due alfieri del conservatismo americano come Fukuyama e Kass, entrambi schieratisi apertamente contro gli interventi mirati all'allungamento della vita umana oltre i suoi limiti "naturali". In questo suo intervento, Charles N.W. Keckler analizza tali critiche e spiega come una presa di posizione a favore dell'allungamento della vita non sia in contraddizione con i principi del conservatismo.

Una della linee di demarcazione più importanti per un essere umano è la differenza fra la vita e la morte, ed essa è da tempo entrata nella politica americana. Nel dibattito sull'aborto (e dintorni), le posizioni delle varie parti sono chiare, con la maggior parte dei conservatori schierati dalla parte della vita, una posizione, questa, intesa come non-interferenza con lo sviluppo umano all'inizio della vita. Così anche nelle polemiche sull'eutanasia: per i conservatori è preferibile non interferire con la vita, lasciando che segua il suo corso, senza una burocrazia medica che si intrometta per decidere se la morte sia l'obiettivo migliore dal punto di vista sociale.

Ma quando si parla di allungamento della vita, molti conservatori, senza per questo abbandonare le loro credenziali pro-vita, sembrano essere "pro-morte" nel senso che si oppongono, o che come minimo considerano poco saggio o prudente, ogni tentativo serio di rallentare, fermare o invertire il processo dell'invecchiamento. In un recente articolo di Ross Douthat, per esempio, [1] l'opposizione al sogno dell'immortalità (identificato come salvazione scientifica e non-religiosa) è stato descritto come la caratteristica fondamentale del pensiero conservatore rispetto a quello progressista.

Il più prominente critico conservatore della ricerca anti-invecchiamento è stato Leon Kass, ex direttore del Consiglio del Presidente sulla Bioetica. Kass è stato responabile di un rapporto [2] redatto per il governo americano che è un autentico grido di allarme sulle disastrose conseguenze culturali e sociali [dell'estensione della vita] e in numerosi discorsi ed articoli [3] si è dichiarato a favore dell'accettazione della durata naturale della vita umana, delle infermità della vecchiaia e, infine, della morte. Questa posizione "anti-anti-invecchiamento" è ormai una componente importante di un emergente movimento intellettuale "bioconservatore".

Una prima impressione è che tale posizione non sia ipocrita. I conservatori come Kass dichiarano la predilizione per l'inazione anziché per l'azione; per il permettere che gli eventi naturali si dispieghino senza interferenza umana. Se un bambino è concepito, che lo si lasci nascere; se la morte sta arrivando, che non la si acceleri, ma che non la si tenga neanche alla porta indefinitamente. Questa è una posizione degna di rispetto, in accordo con gli instinti naturali di un temperamento conservatore. D'altra parte, però, esaminando i pro e i contro della prospettiva di aspettative di vita illimitate, ci si rende conto che quasi tutti i "contro" si basano su posizioni tipicamente "progressiste", basate su preoccupazioni riguardanti l'ineguaglianza, il degrado ambientale causato dalla sovrappopolazione o la mancanza di prospettive di lavoro per i giovani.

Certamente non si può negare che una aspettativa di vita illimitata genererebbe una discontinuità storica ed effettuerebbe dei cambiamenti sociali e culturali imprevedibili. Questo solido fatto è sufficiente a far mantenere a molti conservatori le proprie posizioni pro-morte.

Eppure, essi potrebbero decidere di temperare tali reazioni istintive dato che, forse sorprendentemente, esistono anche degli argomenti genuinamente conservatori a favore dell'estensione della vita. Centrale a qualsiasi programma sociale conservatore (partendo dai principi di Russell Kirk [4] come tipico esempio), è il desiderio di inculcare ordine, temperanza e prudenza. Tali principi sono consistenti con il favorire vite più lunghe, non più brevi.

Queste osservazioni non sono completamente senza precedenti. Dopo tutto, la durata della vita media è aumentata di trent'anni nel ventesimo secolo, senza alterazioni fondamentali alla biologia umana. Si può sostenere che la presenza di una popolazione più anziana, insieme alla nostra aspettativa di farne un giorno parte, ci possa spingere ad agire in vista di questo nostro futuro (tramite pensioni, pubbliche o private), ad avversare i rischi e ad apprezzare la stabilità sociale. Tali tendenze sono apparenti in Giappone e nei paesi dell'Europa occidentale, dove l'interesse per l'estensione della vita è più marcato. Ciò non deve sorprendere, in quanto tutti noi abbiamo più da perdere di quanto avessero i nostri antenati.

Sarebbe facile criticare tale prudenza e sostenere che ha portato ad una eccessiva stabilità, ma questa non sarebbe, alla radice, una critica conservatrice, dato che per un conservatore è difficile scagliarsi contro pace, prosperità e stabilità. Basta prendere in considerazione l'Africa o il Medio Oriente, dove la vita è giovane, turbolenta e di breve durata, per capire come queste caratteristiche siano correlate e che l'ubiquità della morte non ha certo avuto un impatto positivo, in senso conservatore, su queste regioni. Anzi, la brevità della vita non ha reso la Somalia o l'Afganistan più culturalmente produttivi, né ha dato ai loro abitanti un'esistenza più ricca di significato.

Una domanda interessante è se, con un'ulteriore estensione della vita in Occidente, il rapporto fra stabilità sociale e durata della vita media continuerebbe. Penso che possiamo supporre di sì. Sicuramente, coloro che preferiscono il rischio mortale alla noia non gradiranno ciò, ma costoro, per quanto sprezzanti del pericolo, non sono conservatori.

Nel suo "L'uomo oltre l'uomo", pubblicato nel 2002, Francis Fukuyama, un altro componente del Consiglio del Presidente sulla Bioetica di Kass, ha sostenuto che "il cambiamento politico, sociale ed intellettuale si presenterà molto più lentamente nelle società con aspettative di vita medie sostanzialmente più lunghe." Fukuyama pensa che ciò sia un male. Potrebbe anche avere ragione per quanto riguarda la velocità del cambiamento, ma la sua posizione è solo parzialmente corretta, specialmente se consideriamo i cambiamenti di cui siamo stati testimoni nel ventesimo secolo. Per illustrare la propria posizione, Fukuyama si affida al concetto di cambiamento di paradigma. Secondo questa teoria, i mutamenti scientifici "rivoluzionari" (al contrario di quelli "normali") sono spesso associati con i mutamenti generazionali fra scienziati, poiché è raro che si adottino idee fondamentalmente nuove una volta raggiunta la mezza età. La transizione dalla meccanica classica a quella quantistica può essere riassunta nella vecchia battuta: "la fisica avanza, di funerale in funerale." Di conseguenza, si potrebbe arguire, pochi funerali risulterebbero in pochi avanzamenti.

L'errore, in tale ragionamento, è il presupposto che il cambiamento rivoluzionario sia  l'unico genere di cambiamento. Una rapida occhiata alla storia recente mostra che le nostre istituzioni hanno generato creatività tecnologica e scientifica senza precedenti e tutto ciò in un momento in cui la durata della vita è in aumento. In parte, l'innovazione è dovuta proprio a quell'aumento, che dà a un ricercatore la possibilità di raggiungere la padronanza di materiale tecnico immensamente complesso e di seguire programmi di ricerca di lunga durata.

Non è vero che l'allungamento della vita rallenti l'innovazione, tranne forse quella  categorizzabile come "cambiamento di paradigma" e comunque i conservatori sono generalmente ambigui circa cambiamenti di quel tipo. E' strano, quindi, che Kass scriva [3] che "è dai giovani che sgorgano le aspirazioni, la speranza, la freschezza, l'audacia e l'apertura mentale, anche quando [tali caratteristiche] prendono la forma dell'abbattimento dei nostri monumenti." Qui i bioconservatori sono ai limiti dell'ipocrisia, dato che i conservatori, in genere, preferiscono mantenere intatti i propri "monumenti". Di conseguenza, non vedo alcuna contraddizione nel fatto che i conservatori possano voler preservare quel passato vivente, quella riserva di saggezza ed esperienza che noi stessi diventiamo, se il destino e il governo federale ce lo permettono.

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Charles N. W. Keckler, M.A. (Biological Anthropology), J.D., A.B.D (Human Evolutionary Ecology) vive a Washington, DC ed è un "litigator" e un ex professore di legge.

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Una versione di questo articolo è stata originariamente pubblicata da TCSDaily.com

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[1] The American Conservative, August 28, 2006 Issue

[2] Beyond Therapy: Biotechnology and the Pursuit of Happiness

[3] L'Chaim and Its Limits: Why Not Immortality? Leon R. Kass

[4] Ten Conservative Principles, by Russell Kirk





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