La scienza non è una setta

Di Carlo A. Pelanda

Se una setta di squinternati gioca - più a parole che con i fatti - con la nuova biotecnologia la risposta giusta non è certo la demonizzazione della scienza e l'invocazione del bioiproibizionismo. Lo è, invece di incanalare la rivoluzione biologica in atto entro argini che non la facciano né straripare né inaridire. Con lo scopo, appunto, "razionale", di separare nel campo delle nuove possibilità scientifiche ciò che migliora la condizione umana dalle aberrazioni. In uno sfondo dove si riesca ad evitare il conflitto tra tecnica e morale.  Il punto: è possibile tale governo razionale del progresso?

Parliamoci chiaro, prima di tutto, prendendo atto di un dato realistico.  Non sarà possibile, anche volendolo, fermare la biorivoluzione.  Se in Europa ed America prevalessero le restrizioni agli scienziati, allora molti di loro emigrerebbero in nazioni meno regolate.  Ed alcune di queste farebbero certamente ponti d'oro (ci sono già esempi) per attrarre nel loro territorio la produzione di nuove biotecnologie, sia mediche sia per l'agricoltura, perché sarebbero fattore di competitività e di potenza.  Poniamo che la nazione X ammetta o sostenga la sperimentazione genetica più ambiziosa per combattere le malattie, allungare la vita, artificializzare la riproduzione umana.  Poniamo anche che Ue e Usa mettano al bando o limitino tali esperimenti. Scenario: gli aerei per X sarebbero pieni di gente in cerca di salvazione.  Cosa farebbero gli occidentali: dichiarerebbero guerra alla nazione biolibertaria, la espellerebbero dalla comunità del mercato mondiale?  Difficile, soprattutto, se fosse grande, per esempio - puramente ipotetico - la Cina.  Quindi la rivoluzione biologica si svilupperebbe in un ambiente meno regolato del nostro.  E allora si che verrebbero fuori delle mostruosità.  Mentre nella nostra tradizione democratica e di bilanciamento degli opposti la libertà della scienza e della tecnologia verrebbe regolata senza essere compressa.  Per esempio, entro il laboratorio sperimenta quello che vuoi per fini di conoscenza pura, ma prima di farlo uscire devi passare al controllo di pericolosità ed accettabilità sociale.  In sintesi, se la rivoluzione biologica verrà lasciata proseguire senza proibizionismi da noi, allora sarà più alta la probabilità che si sviluppi in modo regolato, governabile, senza catastrofi.  Se, invece, noi la proibiremo o limiteremo troppo, allora questa migrerà in ambienti con meno controlli e diventerà ingovernabile, foriera di catastrofi.

Prego coloro che si sono espressi a favore del bioproibizionismo più o meno marcato di riflettere su questo punto. Appare ragionevole vietare l'applicazione della clonazione agli umani anche per il fatto che tale tecnica non è sicura per la salute del nascituro. Ma la proibizione deve essere molto specifica e non toccare quella parte delle Tecniche clonanti che permettono sviluppi medici promettenti per il futuro.  Il farlo sarebbe oscurantismo. E prego anche coloro che usano argomenti religiosi per bloccare o comprimere la ricerca genetica di accettare l'idea che non tutti i loro concittadini condividono analogo credo. Il cristiano crede che la salvazione avvenga dopo la morte. Ma chi non lo è può solo sperare in una salvezza terrena. E se vede la possibilità di terapie o modifiche genetiche che riducano i mali ed allunghino la vita non capisce perché dovrebbe, o suo figlio o nipote, rinunciarvi. Né può accettare che uno per motivi religiosi impedisca tale beneficio. D'altra parte il credente si sente offeso dal fatto che la tecnica possa modificare quanto creato da Dio a propria somiglianza, il suo mondo di credenze e significati messo a rischio. Cosa facciamo, una guerra di religione? Proprio in Europa ne abbiamo avute tante nei secoli scorsi da aver imparato che è meglio evitarle. Ma troppi portatori del progresso sottostimano il conflitto. Credono che quando la tecnica mostrerà il suo potere di salvazione la morale vi si adatterà in ogni caso. Come è sempre avvenuto. Altri, conservatori o profondamente religiosi, promettono una mobilitazione totale contro le biotecnologie modificative. Temo ambedue le posizioni. La prima non capisce che la biorivoluzione ha un impatto dirompente sulle credenze consolidate e che potrebbe essere uccisa sul nascere dal dissenso. La seconda ne promette uno irrazionale, fondamentalista. Come disinnescare ambedue?  Ci sta provando la bioetica come disciplina dedicata a trovare i limiti entro cui la tecnica può convivere con la morale corrente, ma i suoi prodotti, a mio parere, tendono per lo più a comprimere troppo la prima senza tentare di rendere più flessibile la seconda. Troverei saggio instaurare una relazione co-evolutiva tra le due. Una morale che cerchi di cambiare le proprie visioni in relazione a quelle fornite dalla tecnica e la seconda che si autolimiti in base ai confini, momento per momento, della prima: il canale entro argini, ma proiettato verso una futurizzazione continua.

In conclusione, certamente ci stiamo avvicinando al momento in cui la rivoluzione biologica richiederà nuove istituzioni che la regolino per impedire aberrazioni. Ma bisognerà evitare che queste diventino troppo restrittive.  Inoltre, le regole dovranno essere disegnate considerando una morale che può evolvere e non una fissa per sempre. L'unica cosa da proibire è la rigidità da ambedue le parti.

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La versione originale dell'articolo. Il sito di Carlo A. Pelanda

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