"Tra chip e sensori arriva il post-umano"
di Fabio Albertario

Il presidente del Garante per la Privacy si confronta con problemi e potenzialità delle nuove tecnologie.

"Dobbiamo cominciare ad abituarci ad una parola nuova, e inquietante?" si chiede Stefano Rodotà in un recente articolo. La parola in questione è "post-umano" ("Tra chip e sensori arriva il post-umano", La Repubblica, 6 dicembre 2004). Fin da questa prima frase si intuisce che l'articolo è intriso di un certo pessimismo, nonché di un'attitudine non esattamente entusiasta per le potenzialità del post-umano. Sarà forse perché il ruolo di Rodotà richiede un livello di sospettosità al confine della paranoia (il profilo psicologico di ogni brava sentinella), ma concentrandosi sui potenziali problemi a discapito dei benefici pratici, si corre il rischio di buttar via il bambino insieme all'acqua sporca.

Partendo dalla recente approvazione, da parte della FDA, di VeriChip (il chip impiantabile sottopelle per  l'identificazione di  pazienti e contenente informazioni sulla salute dell'interessato), Rodotà si interroga sull'avvicinarsi del post-umano: "Siamo alla vigilia di un cambiamento della natura stessa del corpo che, modificato tecnologicamente, diverrebbe per ciò post-umano? Questo è un tema che merita una vera discussione pubblica, invece di perder tempo dietro inconcludenti e strumentali diatribe intorno ad un astratto rispetto della natura" e su questo non possiamo non essere d'accordo, così come non possiamo non essere d'accordo, in principio, quando invoca il rispetto per la dignità umana, per il diritto all'integrità fisica e psichica, per la protezione dei dati personali (ma quando invoca il principio di precauzione è un'altra storia…). La preoccupazione principale dell'articolo è che l'inserimento nel corpo di strumenti provenienti dal mondo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, metta in discussione l'autonomia della persona, fino a cambiarne lo statuto personale e sociale. Il portatore di impianti elettronici potrebbe essere permanentemente on-line divenendo in tal modo una "networked person" ed essendo così potenzialmente rintracciabile e monitorabile da terzi interessati ai sui movimenti, alle sue condizioni fisico-mentali, alle sue abitudini d'acquisto, etc. (si noti come ciò sia già parzialmente possibile con la telefonia mobile e con i pagamenti sia elettronici che con carte di credito). Questa è certamente un'area in cui la tutela della privacy deve essere garantita, ma è lecito chiedersi fino a che punto sarà possibile avvantaggiarsi di tali nuove opportunità senza compromessi sulla privacy. Val la pena tenere il telefonino sempre spento per non rivelare la propria posizione geografica? Non pagare con carta di credito al supermercato per non rivelare cosa si sia comprato? Non usare email perché offre un livello di privacy equivalente a quello di una cartolina? Si tratta di confrontare i pro e i contro e di fare una scelta. Quando mando un'email con Gmail, una serie di piccoli annunci pubblicitari calibrati ai miei interessi appare su un lato dello schermo. Cosa ne sa Gmail dei miei interessi? Molto, dato che legge tutte le mie missive, è la sorprendente risposta. Sono preoccupato per la perdita di privacy? Per niente: la mia posta è letta da un programma automatico che cerca parole chiave, non da un ficcanaso qualsiasi o, peggio, da un grande fratello orwelliano; io ottengo un ottimo servizio gratuito e le pubblicità mirate sono meno irritanti di quelle non-mirate. Continuando con l'analogia dell'email, se volessi avere maggiore privacy, per qualsiasi motivo, utilizzerei sistemi di criptazione che rendono leggibili le mie missive solo ai destinatari. Quando invece acquisto qualcosa online, mi accerto sempre che il sito al quale sto per rivelare il mio numero di carta di credito sia dotato dei necessari sistemi di sicurezza. Se questi non sono presenti, posso decidere di prendere un rischio, o posso cercare un altro sito più sicuro che venda lo stesso, o simile, prodotto.

Questi esempi delle problematiche relazioni fra privacy e tecnologie correnti, illustrano come un problema possa essere risolto da una serie di indipendenti e contradditorie decisioni individuali prese in una situazione di libero mercato e offrono un'indicazione di quelli che potrebbero essere i problemi, e le soluzioni, che dovremo affrontare nei prossimi anni, agli albori dell'era post-umana. Rodotà, però, non sembra ritenere che il soggetto qualificato a compiere tali scelte sia l'individuo direttamente interessato, o che il mercato sia il punto di partenza più adatto per la ricerca di soluzioni (si noti bene: punto di partenza, non punto di arrivo): "per superare obiezioni e preoccupazioni, [non] basta riferirsi al consenso degli interessati. Stiamo discutendo dell'integrità del corpo e della dignità umana". Troppo spesso, però, coloro che si ergono a difesa della "dignità umana", si rivelano poi difensori solo della  propria specifica idea di quello che la dignità umana dovrebbe essere… Inoltre: "queste nuove prospettive, inquietanti e promettenti insieme, siano governate dagli uomini e dal loro senso della libertà, e non affidate ad impossibili vincoli di natura o, peggio alla prepotenza del mercato." Il potenziale problema di questo approccio non risiede in un'antipatia ideologica verso l'imposizione di regole, ma nella pragmatica osservazione che legislatori e burocrati hanno una innata tendenza a dar prova di eccessivo zelo nel tentativo di regolamentare fenomemi troppo complessi per qualsiasi legge o insieme di regole. Fenomeni di tale complessità sono, generalmente, gestiti con maggior successo da entità altrettanto, o più, complesse, come appunto milioni di liberi agenti in grado di compiere libere scelte. Serve un approccio minimalistico alla regolamentazione delle prime, emergenti tecnologie post-umane, un approccio che non insista nello spingerci verso scelte che siano in armonia con una visione della "dignità umana" prediletta da un ministro o da un Garante della Privacy. In caso contriario correremo il rischio di imbrigliare lo sviluppo di tecnologie fondamentali, rallentando in tal modo l'arrivo di ulteriori, e persino più significative, future tecnologie post-umanizzanti.

Il ruolo del Garante della Privacy sia quello di cane da guardia, non di cane pastore.

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Una versione parziale dell'articolo di Rodotà è disponibile sul sito dell'Ansa.




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