Nuovi orizzonti tecnologici: verso il postumano?

Il potere seduttivo delle nuove tecnologie consiste nel permetterci di fare quello che, prima, era semplicemente impossibile. Il dibattito su genetica, informatica e nanotecnologie si sposta dal terreno della fattibilità a quello della desiderabilità.

di Fabio Albertario
(originariamente pubblicato su L'Eco)

Quali nuovi scenari si apriranno di fronte a noi nelle prossime decadi grazie alle tecnologie oggi in gestazione nei laboratori di ricerca? La lista delle potenzialità è lunga e, inevitabilmente, non tutte verranno realizzate.
Sempre più, però, sembra che la nostra stessa natura potrà essere soggetta a modificazione e, se desiderato, miglioramento. Potremmo persino sfuggire al destino che è inesorabilmente toccato ad ogni generazione umana dall'alba del tempo.

Carlo Pelanda (nel suo recente "Futurizzazione" -  Sperling & Kupfer, 2003) descrive elegantemente come endodestini questi finora insuperabili limiti: il pianeta, il corpo, una aspettativa di vita prestabilita. Le prospettive offerte dalle nuove tecnologie sono quindi quelle degli esodestini: fuori dal pianeta (con la colonizzazione spaziale), fuori dal corpo (con interfaccia diretti cervello/computer e la cyborgazione) e fuori da un'aspettativa di vita tradizionale (con il controllo dei meccanismi dell'invecchimento tramite interventi genici e farmacologici - alcuni dei quali già dimostrati con successo in animali da laboratorio).

Roberto Marchesini, un'altro di un numero crescente di intellettuali ad affrontare certi temi da questa parte
dell'Atlantico (in America il dibattito è più avanzato), descrive tali nuove prospettive come nuovi modelli di esistenza nel suo "Posthuman" (Bollati Boringhieri, 2002).

Questo inseguirsi di pubblicazioni illustra come l'idea di dirigere l'evoluzione della specie, nonché il destino dell'individuo, con interventi tecnologici sia ormai parte integrante del nostro immaginario collettivo e come l'artificializzazione del corpo sia ormai vista come un'opzione prossima ventura. Siamo quindi una delle ultime generazioni di Homo Sapiens? Siamo destinati a lasciare il posto ad una specie più evoluta, come ha dovuto fare l'uomo di Neanderthal prima di noi? E' concepibile che, fondendoci con la nostra tecnologia, potremmo divenire qualcosa di diverso, esseri "postumani"?

L'arrivo della prospettiva del postumano sul nostro orizzonte collettivo e personale è fatto recente ed è dovuto alla realizzazione che il convergere di tecnologie ormai affermate, ma in continuo sviluppo, come telematica, robotica e biotecnologie con tecnologie emergenti come nanotecnologie e intelligenza artificiale, ci potrebbe permettere una capacità di intervento senza precedenti sul nostro organismo. Di conseguenza il dibattito si sta ormai spostando dal terreno della fattibilità a quello della desiderabilità. Se e quando saranno possibili interventi per il controllo dell'invecchiamento, per esempio, sarebbe etico permetterne l'utilizzo? Dopotutto, si sta facendo strada fra i gerontologi l'idea che l'invecchiamento non sia altro che una malattia degenerativa che, per quanto oggi incurabile, potrebbe comunque essere sconfitta o controllata. Che impatto avrebbe sulla società una generazione di centoventenni vigorosi e in piena salute? E sarebbe etico privare tali individui delle terapie che li mantengono in vita?

Oltre alle opere già citate è inevitabile accennare anche a "L'uomo oltre l'uomo" (Mondadori, 2002) di Francis Fukuyama e al famoso articolo di Bill Joy pubblicato dalla rivista Wired nel 2000 "Perchè il futuro non ha bisogno di noi". Entrambi temono l'emergere del postumano, sostenendo che procedendo in questa direzione rischiamo di perdere la nostra umanità (Fukuyama) e che il progesso tecnologico sfuggirà inevitabilmente al nostro controllo, portandoci all'autodistruzione (Joy). Entrambi scenari meritano seria considerazione in quanto utili campanelli di allarme. Storicamente le nuove tecnologie tendono a dimostrarsi lame a doppio taglio e non vi è ragione di credere che le tecnologie di domani saranno l'eccezione. Abbiamo però imparato a convivere con tecnologie pericolose senza rinunciare ai vantaggi che esse offrono e siamo sopravvissuti ad un confronto fra blocchi opposti e dotati di arsenali nucleari, i sistemi tecnologici più distruttivi mai creati.
Tutto ciò suggerisce che anche in futuro troveremo un modus vivendi adatto alla situazione. L'errore principale che Joy e Fukuyama commettono, però, è un altro. Entrambi, infatti, ignorano volutamente che la posta in gioco, cioé il controllo sul nostro organismo, non è una meta da perseguire solo per soddisfare una vaga curiosità intellettuale, ma in quanto strumento per restituire salute e benessere a chi ne sia privo e per dare all'individuo la possibilità di scegliere chi e cosa essere, liberandolo dagli spesso crudeli destini decisi dal Caso e da una non sempre benigna Madre Natura.

I progressi medico-tecnologici che, potenzialmente, ci permetteranno di compiere quelli che oggi sarebbero visti come miracoli, sono allo stato embrionale: rinunciare a perseguirli per timore o eccessiva prudenza sarebbe moralmente inaccettabile, tanto quanto lo sarebbe un loro utilizzo irresponsabile. E se il costo di una vita più lunga, con più energia, più benessere e meno malattie fosse quello di non essere più etichettabili come Homo Sapiens dai biologi di domani, benvenga il postumano...



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