La bufala dello "sviluppo sostenibile". Le risorse sono infinite grazie all'intelligenza umana.

Originariamente pubblicato su: Enclave. Rivista libertaria, n. 20 giugno 2003

di Guglielmo Piombini

Tra i tanti luoghi comuni diffusi con successo dagli ecologisti ve ne sono due, tra loro collegati, che sono particolarmente perniciosi: che lo sviluppo economico prima o poi dovrà arrestarsi, perché inevitabilmente le risorse naturali finiranno; e che limiti fisici invalicabili impediscono l´estensione del benessere materiale goduto nei paesi industrializzati a tutta l´umanità, o ad una popolazione più numerosa di quella attualmente vivente sulla Terra. Da queste premesse si deduce che solo rallentando deliberatamente lo sviluppo economico e la crescita della popolazione umana sarà possibile prolungare un accettabile livello di condizioni di vita sulla Terra (il cosiddetto "sviluppo sostenibile"). Questa conclusione, apparentemente plausibile, si basa tuttavia su un erroneo significato del concetto di "risorsa", che la teoria economica della scuola austriaca ha individuato mettendo al centro della sua analisi il carattere soggettivo del valore.

Cosa distingue infatti una cosa qualsiasi che si trova in natura da una "risorsa"? Rispetto a una semplice cosa materiale, una risorsa è un "bene economico" perché ha valore per l´uomo, potendo soddisfarne i bisogni. Come ha spiegato chiaramente l´economista George Reisman in un saggio recente, ciò che fa di una cosa un "bene naturale" (o una "risorsa") non sono le sue intrinseche proprietà fisiche, ma la relazione tra queste e la soddisfazione di un bisogno umano [1]. Più precisamente, Reisman richiama le quattro condizioni che secondo il capostipite della scuola austriaca Carl Menger devono necessariamente sussistere perché una cosa possa essere definita una "risorsa":

1) un bisogno umano;
2) delle particolari qualità fisiche della cosa, che permettano una connessione con la soddisfazione di quel bisogno umano;
3) la conoscenza umana di questa relazione causale;
4) la capacità tecnica di utilizzare la cosa in maniera appropriata a realizzare questo fine [2].

Solo l´uomo può attribuire alle parti della natura il valore di risorsa: prima scoprendo l´esistenza di un legame causale tra le proprietà fisiche delle cose e la soddisfazione di una propria necessità, e poi il modo concreto di usarla a proprio beneficio [3]. Il che equivale a dire che le risorse non esistono in natura, ma solo nella mente dell´uomo. Nessun elemento fornito dalla natura è di per sé una risorsa. Il ferro, ad esempio, non è stato una risorsa durante tutta l´era della pietra; il carbone non è mai stato considerato una risorsa prima della rivoluzione industriale; il petrolio non era una risorsa fino alla metà del XIX secolo (era considerato addirittura una passività inquinante); l´alluminio, il radio e l´uranio sono diventati una risorsa solo agli inizi del XX secolo; il silicio è diventato una risorsa solo negli ultimi decenni, quando si è trovato il modo di utilizzarlo per la realizzazione delle fibre ottiche. Gli esempi potrebbero continuare fino ad includere tutte le risorse naturali utilizzate dall´uomo nel passato e tutte quelle che userà in futuro, la cui esistenza ci è oggi per la massima parte sconosciuta, e risulta quindi impossibile misurarne o prevederne l´entità.

Scriveva al riguardo Carlo Cattaneo, circa un secolo e mezzo fa: "Quando le cose giacciono ancora non curate o ignote in seno alla natura, è l´intelligenza che comincia l´opera, e imprime in esse per la prima volta il carattere di ricchezza", dato che "il valore che hanno le cose non si rivela da sé; è il senno dell´uomo che le discopre. Gli inglesi e i fiamminghi calpestarono non curanti le stratificazioni di carbon fossile accumulate sotto i loro piedi per tutta la superficie di vaste province, anche alcuni secoli dopo che Marco Polo lo aveva descritto come d´uso antico e popolare presso i cinesi. I peruviani ignoravano l´uso del ferro, che i nostri libri sacri sanno antico più di Noè; ma viceversa conoscevano l´uso del guano, dal quale i nostri navigatori s´avvidero solamente ai nostri giorni, tre secoli dopo che avevano preso vano possesso delle isole che ne sono ricoperte"[5].

Strettamente parlando vi è quindi un´unica vera risorsa, diversa e più preziosa, che può moltiplicare all´infinito il valore di tutte le altre: il cervello umano. In questo senso lo scienziato ed economista Julian Simon ha parlato dell´uomo come "ultima risorsa", nel titolo del suo capolavoro (The Ultimate Resource)[4].

Inoltre, seguendo i criteri di Menger, una cosa non può essere considerata risorsa neanche in quei casi in cui, pur sapendo della sua presenza e delle sue utili proprietà, l´uomo non dispone ancora delle capacità pratiche per utilizzarla a proprio vantaggio, come il petrolio che giace in profondità irraggiungibili per le odierne trivellatrici. Le risorse naturali quindi aumentano non solo quando l´uomo ne scopre di nuove (come è avvenuto nei casi ricordati del ferro, del petrolio, dell´alluminio, del radio o dell´uranio), ma anche quando aumenta le sue capacità tecnologiche di utilizzo delle risorse già note: ad esempio, inventando metodi di estrazione a maggiori profondità, muovendo o distruggendo grossi massi di terra con minor sforzo, colonizzando regioni precedentemente inaccessibili, o rendendo meno dispendioso l´accesso in regioni già accessibili. In tutti questi casi l´uomo ha ampliato, e non ridotto, la quantità di risorse naturali a propria disposizione (a condizione naturalmente che le attività produttive siano effettivamente guidate al soddisfacimento dei bisogni umani dai segnali contenuti nei prezzi, scaturiti dal libero mercato dei diritti di proprietà privata sulle risorse naturali).

Se solo l´uomo crea i beni, qual´è il contributo della natura? Essa fornisce materia ed energia in quantità virtualmente infinita (se consideriamo l´intero universo) e di qualità indistruttibile, dato che nell´universo tutto è soggetto a continua trasformazione, ma niente si distrugge definitivamente. Da questo infinito "serbatoio" fornito dalla natura, l´uomo trae le "risorse" che gli servono grazie alla sua ingegnosità.

Anche limitando la nostra analisi al pianeta Terra, che sicuramente non costituirà per sempre il nostro limite ultimo, la quantità potenziale di risorse naturali è grandiosamente enorme. Comprende nientemeno che l´intera massa del pianeta con tutta l´energia annessa: dal lampo nell´atmosfera, che scarica una quantità di energia superiore a quella prodotta da tutta l´umanità in un anno, al calore eccezionale che promana dal nucleo terrestre. La Terra non è altro infatti che una enorme massa ultracompatta di elementi chimici, in ogni suo centimetro cubo, nessuno dei quali può mai essere distrutto completamente. Questi elementi semplicemente riappaiono di differenti combinazioni, in differenti proporzioni e in differenti luoghi. La quantità di elementi chimici presenti sulla terra oggi è quindi complessivamente uguale a quella del paleolitico, se escludiamo le ininfluenti quantità di materia arrivate dallo spazio o lanciate dalla Terra verso il cosmo. L´unica differenza è che, soprattutto in seguito alla rivoluzione industriale, molti elementi chimici che giacevano inerti fuori dalla portata dell´uomo sono stati spostati e trasformati in qualcosa di utile al genere umano. Alcune quantità di ferro e di rame sono state rimosse dalle recondite interiora della Terra, e oggi costituiscono parte degli edifici, delle automobili e di milioni di altri oggetti che migliorano la nostra vita. Allo stesso modo, alcune quantità di carbone, ossigeno e idrogeno sono state separate da certe composizioni e ricombinate in altre, in modo da produrre energia per riscaldarci, illuminarci, far funzionare gli impianti industriali, far viaggiare le auto e i treni, e per migliaia di altri benefici usi.

La concezione dominante tra gli ecologisti, secondo i quali esiste uno stock fisso di risorse che a poco a poco l´uomo consuma con le sue attività, è profondamente sbagliata, perché in un sistema capitalistico le attività produttive umane accrescono la quantità di risorse naturali utilizzabili dall´uomo convertendo alcune frazioni inerti di materia (che fino ad allora non erano risorse) in beni economici. Queste risorse così create rappresentano sempre un´infinitesima parte della materia e dell´energia potenzialmente fornite dalla natura. Ancora oggi, benché le risorse naturali siano considerevolmente aumentate rispetto ai secoli precedenti (grazie all´aumento delle conoscenze e delle capacità tecniche), il potere dell´uomo sulla natura è estremamente limitato. Esso è confinato essenzialmente a quel trenta percento della superficie terrestre non coperta dalle acque, e per una profondità massima di poche centinaia di metri. La civiltà umana, in tutto il suo sviluppo, ha appena iniziato a grattare una piccola parte della superficie del pianeta, e nulla più. Le immense profondità della terra e degli oceani ci sono ancora del tutto inaccessibili, così come lo spazio cosmico esterno alla terra, con tutte le sue infinite risorse potenziali - come i metalli presenti sugli altri pianeti o l´idrogeno, l´elemento più abbondante dell´universo che potrebbe un giorno diventare una risorsa sostitutiva del petrolio [6].

Se l´unico modo per espandere la quantità di risorse naturali è quello di aumentare le conoscenze e il potere tecnologico sulla natura, allora non solo lo sviluppo scientifico ed industriale, ma anche l´aumento della popolazione umana risulta indispensabile a questo fine. Più esseri umani significano infatti più idee, più divisione del lavoro, più specializzazioni e più scambi [7].

Proviamo ad immaginare l´ipotesi che, a causa di una terribile epidemia, sulla Terra rimanga in vita solo qualche decina di sopravvissuti. In questo caso, se anche costoro fossero scienziati ed ingegneri dotati della maggior competenza tecnico-scientifica, le risorse naturali a loro disposizione sarebbero non più ampie di oggi, ma infinitamente di meno. La ridotta divisione del lavoro, dovuta al loro esiguo numero, li costringerà infatti ad impiegare tutto il loro tempo per il soddisfacimento dei bisogni essenziali. Non ci potranno essere ingegneri nucleari, programmatori di computer, o produttori di medicinali, telefoni, automobili ed elettrodomestici su quella Terra disabitata, ma solo cacciatori, raccoglitori, pescatori, minatori, agricoltori e allevatori. Senza estesa divisione del lavoro non ci può essere specializzazione, e quindi neanche la possibilità di esprimere al meglio le proprie attitudini e la propria personalità. Il loro tenore di vita non potrebbe mai elevarsi di molto rispetto a quello di Robinson Crusoe.

Ecco perché il nostro attuale tenore di vita non potrebbe mantenersi se la popolazione umana calasse in maniera rilevante rispetto ai sei miliardi di oggi. Per espandere le conoscenze e il lavoro necessario ad aumentare la quantità di risorse naturali non esiste altra strada che quella di accrescere la cooperazione fondata sulla divisione del lavoro, altrimenti gran parte delle risorse naturali potenzialmente esistenti ci rimarranno per sempre precluse, per ignoranza o per impotenza. In altre parole, se vogliamo aumentare le risorse naturali a nostra disposizione dobbiamo favorire quanto più possibile lo sviluppo tecnologico e l´aumento della popolazione che partecipa alla rete globale degli scambi. Dobbiamo auspicare cioè esattamente l´opposto di quanto va predicando la vulgata ambientalista.


NOTE

[1] George Reisman, "Environmentalism in the Light of Menger and Mises", The Quarterly Journal of Austrian Economics, vol. 5, n. 2, summer 2002, pp. 3-15.
[2] Carl Menger, Principi fondamentali di Economia, Rubbettino, 2001.
[3] A meno che non si voglia sostenere, come fanno certe frange estreme dell´ambientalismo, che la natura ha un valore intrinseco superiore al benessere dell´uomo. Questa prospettiva si colloca però in un universo filosofico incompatibile con la tradizione cristiana e occidentale, che ha sempre considerato l´uomo su un piano superiore rispetto al creato. Sull´antiumano neo-paganesimo di ritorno degli ecologisti, si veda Carlo Lottieri, "Ambientalismo contro l´Occidente", e Alessandra Nucci, "Il vicolo cieco del primitivismo", su Ideazione, n. 5/2002.
[4] Julian L. Simon, The Ultimate Resource 2, Princeton University Press, 1996. BjÇ¿rn Lomborg ha ripreso gli studi di Simon in un libro che è diventato un best-seller mondiale (L´ambientalista scettico, Mondadori,
2003). Sulle polemiche provocate dal libro, si veda l´articolo di Carlo Stagnaro, "Meno emozioni, più scienza", su Ideazione, n. 5/2002.
[5] Carlo Cattaneo, La società umana, Mondadori, 1950, p. 25.
[6] George Reisman, "Environmentalism in the Light of Menger and Mises", cit.
[7] Per una efficace demolizione del mito della sovrappopolazione, si veda Giorgio Bianco, "Sono i paesi meno popolati a morire di fame", Enclave. Rivista libertaria, n. 19, 2003, pp. 24-26.



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